È andato via anche Paolo Rossi. Il calciatore del pensiero
Pierfranco Bruni
È morto Paolo Rossi. Non solo il campione leader dei mondiali dell’82. Appartengo alla sua generazione e il «mito» era e resta Gianni Rivera. Rossi è cresciuto in quel clima Rivera – Mazzola. Proprio qualche sera fa discutevo di calcio e filosofia. Antipodi? Forse si, ma non tanto. Avevo posto alcune riflessione che ora mi rimbalzano come boumerag.
Se Maradona è stato un fenomeno antropologico, o meglio oggi lo si legge come tale e resta nell’immaginario come una «alchimia» popolare, Paolo Rossi ha saputo sempre cogliere l’istante dello scatto ma anche la costruzione del dettaglio.
Con Paolo Rossi se ne va una generazione, quella generazione alla quale appartengo e che tanto aveva amato Gianni Rivera. Se ne va perché? Perché Pablito Rossi era una generazione, incarnava una generazione. E anche chi non seguiva il calcio, negli anni anni Ottanta, si è dovuto fermare davanti ad uno schermo e fissare lo sguardo su quel ragazzo che portava la Nazione Italia al centro dell’attenzione e dell’attrazione.
Erano altri tempi. Tempi di scollamenti ideologici e di religioni forti e non relativiste. Paolo Rossi era non il vincente in nome di una Nazione. Non il vincente isolato. Era la vittoria e la gloria della Nazione. Anni Ottanta. Quando i grandi club calcistici facevano a sfida tra talenti e denaro, dico talenti prima o valenti o ragionatori del pallone.
Credo che in un calciatore, ma in ogni sport si può verificare ciò, si pensi al tennis, deve funzionare prima il pensiero e poi il piede. Non si può giocare solo di piede. Questo è un insegnamento che giunge da Schiaffino, Suarez, Altafini, Rivera, Zito, Bulgarelli, De Sisti, Pelé … ed ha lasciato il segno. Paolo Rossi appartiene a questa «categoria».
Calciatori che costruivano in un istante – attimo un’azione che creava un immaginario profetico. Non solo concludevano un atto. Ma creavano l’atto. Una filosofia di come usare il piede gestendolo non fisicamente, ma psicologicamente. Una sfera psico motoria in cui la psico pedagogia è dominante.
Come quando tiri un rigore. Si può anche far gol, ma si nota subito se è un tiro giocato con il piede soltanto o con il pensiero e il piede.
Rivera era pensiero. Paolo Rossi sapeva ben contraltare il pensiero attraverso la «sperimentazione» del posizionamento al punto giusto perché intuiva. Non si attivava in una zona del campo per caso. Non aspettava. Percepiva adattandosi. Insomma era un giocatore che pensava.
A parte questo, credo che abbia inventato anche un nuovo modo di approccio al calcio. Dopo il fallimento della Argentina 78, di 4 anni prima, la generazione di Paolo Rossi, 1982, ha cercato di riscattarsi. Ci siamo riscattati, forse si o forse ci siamo illusi. Il calcio è cambiato come tutto d’altronde e noi siamo invecchiati pieni di ricordi grandiosi orgogliosi belli malinconici al di là del bene e del male. Ma il calcio può avere una filosofia? Certo che sì. Era nato a Prato il 23 settembre del 1956. Il 9 dicembre del 2020 ci ha laciato a Roma.
È andato via in silenzio!