John Le Carré la talpa che venne dal freddo, la scomparsa di un grande scrittore

John Le Carré la talpa che venne dal freddo, la scomparsa di un grande scrittore

 

Pierfranco Bruni

 

 

“Ci sono eventi della mia vita – ormai non molti, a essere onesti – che ammettono un’unica versione” (John Le Carré in Incipit de “La spia corre sul campo”). Aveva 89 anni. Era nato nel 1931 a Poole. Lo scrittore che aveva inventato quella spia che veniva dal freddo e scritto uno dei romanzi più significativi sul tema proprio dello spionaggio «La talpa’. John Le Carré, il cui vero nome é David Cornwell. Conosceva molto bene gli ambienti dello spionaggio perché dopo una stagione universitaria aveva lavorato all’interno degli ambienti ministeriali proprio nei servizi segreti del dicastero Esteri britannico. I suoi romanzi portano sulla scena la figura dell’agente segreto George Smiley che sarà il personaggio protagonista che troveremo nel romanzo del 1963 «La spia che venne dal freddo».

Per capire lo spionaggio, i muri ideologici, le contrapposizioni tra Nazioni spesso si è cercato di penetrare quel tessuto narrativo, che andava oltre la letteratura stessa, descritto da un esperto come Le Carré. Un autore che conosceva

Prima del 1963 aveva già pubblicato «Chiamata per il morto» nel 1961 e l’anno successivo «Un delitto di classe». Soltanto nel 1974 arriva «La talpa», (il romanzo che consacrò lo scrittore: “Non è una colpa desiderare un attimo di pace almeno al tramonto della vita”), che ebbe una caratterizzazione particolare, in parte, trasformò il romanzo spia – giallo – azione con una forte componente ci cinematografica. Nel 1996 arriva «La spia perfetta», anche se nell’arco di questi intervalli escono altri romanzi.

 

Ci sono alcuni romanzi tra la metà degli anni Novanta e il Duemila che lasciano un segno molto marcato all’interno di un approccio narrativo in cui il giallo diventa intrigante sul piano letterario perché innerva un dialogare nuovo tra i personaggi. Mi riferisco a «La passione del suo tempo» del 1995 dove restano implacabili tali concetti: “Non sono un uomo di Dio, anche se credo che la società sia migliore con Lui che non senza”. “Chi non abbia vissuto in segretezza non può rendersi conto di quanto una simile esperienza possa dare assuefazione“.

 

Dal «Il sarto di panama» dell’anno successivo, a «Il visitatore segreto» del 2000 sino al romanzo del 2010: «Il nostro traditore tipo». Amo molto questo romanzo perché in esso si vive la trasversalità del dialogare con il realismo metaforico del personaggio o dei personaggi. Il suo libro chiave dei suoi ultimi amni resta «Tiro al piccione» che passa come autobiografia ed è stato pubblicato in Italia nel 2016, anche se usciranno ancora nel 2018 «Un passato da spia» e nel 2019 «Una spia corre sul campo». È chiaro che una tipologia narrativa di questo genere ha visto diverse trasposizioni cinematografiche e televisive.

 

Ogni suo romanzo sembrava che nascesse per essere trasformato in azioni cinematografiche sempre, comunque, tra la riflessione e l’azione. Spionaggio e thriller avevano sempre, nei suoi scritti, una peculiare attenzione a non ridurli a spettacolarizzazione. Insomma John Le Carré, senza andare oltre, contrapponeva il suo personaggio a quello dell’agente 007 Bond. Sul piano formale credo che ci sia riuscito, soprattutto nel romanzo. Sembrano due figure diverse.  Ma alla fine sono due atteggiamenti alternativi. Misha Glenny nel 2010 ebbe scrivere “Il suo successo sta nel combinare strutture narrative essenziali con un orecchio straordinario per il dialogo, avvolgendo poi il tutto in una comprensione degli eventi contemporanei che alla maggior parte dei comuni mortali appare frammentata…”.  Inventa, sostanzialmente, il romanzo modello sul filo giallo – spionistico in cui non sono le pause più che azioni a rispondere alla completezza del romanzo.

 

La frammentazione non c’è per il solo fatto che non è costruito sulla sensazionalità delle azioni, piuttosto sulla riflessione delle impostazioni. Mi ha accompagnato in diverse stagioni della mia vita. Soprattutto quando ho scritto i miei libri su Aldo Moro la sua presenza, insieme a quella di Leonardo Sciascia, erano sempre presenze accoglienti e amicizie letterarie fidate.  Resta un grande e singolare scrittore che dagli anni Sessanta, del Novecento, in poi ha fatto scuola sia nel suo campo letterario sia nelle proposte cinematografiche. Una eleganza di scrittura. Nella sua autobiografia “Tiro al piccione” scrissi: “Ho cercato di fare del mondo segreto che un tempo conoscevo un palcoscenico per i mondi più ampi in cui viviamo. Prima viene l’immaginazione, poi la ricerca della realtà. E infine il ritorno all’immaginazione e alla scrivania dove mi trovo ora». Il grande e vero scrittore si riconosce subito. Le Carré è stato uno scrittore di classe.

 

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