Teodora Filomena
Il nuovo romanzo di Pierfranco Bruni sancisce un tocco di incanto e definisce ormai, il suo percorso magico letterario, in una sfera in cui il senso del tempo e la memoria costituiscono nuclei centrali. Anzi il nucleo centrale. Un romanzo non verità, non esiste in arte e in profezia, ma qii vive il grande scrittore che ha fatto della sua vita una fedeltà alla bellezza. Lontano dagli stereotipi del moderno, Pierfranco Bruni, con «Quando mio padre leggeva Carolina Invernizio», Pp. 152, Tabula Fati, 2021, 12 euro, è un Novecento estetico alto, trasportato nel nuovo secolo. È lo scrittore che non cede alle mode ma porta la tradizione nel moderno. Dimensione di vita. Ha dichiarato la sua visione, proprio in occasione dell’uscita del romanzo per le prossime settimane, ma già prenotabile in tutti i punti editoriali a partire dalla casa editrice. Ha sottolineato così Bruni:
«Non posso non dire di aver vissuto un’infanzia straordinaria. Unica, in una grande casa dove tutto aveva un senso. Un amore infinito di mia madre mio padre mia sorella dentro la mia esistenza. Mi hanno sempre accompagnato. Nelle sere ovattate d’inverno con il vento nella recita in giardino di palme e di sigilli di sguardi. Mio padre, sempre capitano, mia madre dirigeva le vele».
Ma lei non conosceva le frequentazioni letterarie di sua padre?
«Conoscevo mio padre molto bene per la sana cultura che espresso sempre. Ho scoperto, però, molto tardi le letture frequentate da mio padre. Credo che neppure mia sorella Giulia conoscesse le letture fatte da papà. Mia sorella, più di me, ha frequentato ambienti culturalmente belli e alti, anche se complessi, negli anni della sua età scolare, e la sua preparazione è stata sempre espressa dalla bella lingua dei classici. Papà, per la sua modestia non mi aveva mai parlato dei suoi libri. Era mia madre che citava la sua forza culturale. Mia madre lo considerava un mito. Si è cresciuto in una casa aristocratica e benestante, dove i libri erano sempre presenti. È andato via in un dicembre di alcuni anni fa. Quest’anno avrebbe compiuto cento anni. Spesso non parlava. Ascoltava. Quando sono diventato adulto mi asservava. Nei miei lavori e ospitate in Rai, sino a notte inoltrata. Mia madre e mio padre restavano fissi davanti alla tv fino alla fine. Mi sentivo chiamare alle due o oltre di notte per dirmi: ci siamo, siamo commossi».
Un romanzo di ricordi, dunque, un quasi diario?
«Direi di no. Piuttosto c’è la prevalenza del metafisico. È naturale che i ricordi ritornano proprio nel momento in cui pensi che le ricordanze non avrebbero più senso. Tutto é lì, in quel centro di universo che si chiama Anima. É lui che mi cerca. È lui che mi rincorre. Centro dell’universo. Sarà il tempo. Sarà che sono entrato in uno spazio in pazienza di vissuto. Sarà che il mondo esteriore é diventato distante. Rileggo, ora, i libri che mio padre lesse a 11 anni. Tra questi ci sono Werther De Amicis e Carolina Invernizio. Rileggo questi libri e portano sempre, nell’ingiallito della carta, le sue dita, le sue mani, le sue sfogliate di pagine. Oltre le sue annotazioni a lato dello scritto. Cesellature che ancora mi fanno capire il tempo di quando mio padre leggeva Carolina Invernizio e mia madre aveva soltanto pochissini anni».
Dopo il suo Dante, sul quale ritornerà con un nuovo libro prima dell’estate, l’importante studio sul Sindacato Libero Scrittori scritto con Tommaso Romano, già in uscita, che traccia la storia di 50 anni di cultura anticonformista in Italia, il lavoro su Leonardo Sciascia con Mauro Mazza, che sarà pronto nei primi mesi del ’21, e la definizione di un suo tomo sulla fine della antropologia, so che pubblicherà per il prossimo anno un libro di poesia?
«È tutto ancora da decifrare. Dante e Sciascia sono stati già programmati. Il testo sul Sindacato con Tommaso Romano già pubblicato, ma il merito va tutto a Romano, il resto è un viaggio. Ora c’è il romanzo e l’incontro tra mio padre e la Invernizio. Con lentezza, cercando di non farsi anticipare dal tempo, penso ad altro, ma soprattutto alla mia grandiosa gioia, Rebecca, la mia iniziatrice in un tempo altro».