TEATRO SAN CARLO
Pretty Yende e Xabier Anduaga
protagonisti del Gala Belcanto
Dirige Riccardo Frizza
Sabato 24 luglio ore 20.00
Sono il soprano Pretty Yende e il tenore Xabier Anduaga, quest’ultimo al suo debutto al Teatro di San Carlo, i protagonisti del Gala Belcanto in programma sabato 24 luglio ore 20.00 al Massimo napoletano.
Altro debutto al Lirico di Napoli è quello di Riccardo Frizza, che sarà sul podio, impegnato a dirigere l’Orchestra stabile.
Il programma si aprirà con Gaetano Donizetti di cui sarà eseguita la Sinfonia dal Don Pasquale e “Una parola o Adina”, “Una furtiva lagrima” e “Prendi per me sei libero” da L’elisir d’amore.
La locandina prosegue con una sezione dedicata a Giuseppe Verdi: in programma la Sinfonia da Luisa Miller, “Caro nome” e “La donna è mobile” da Rigoletto, il preludio del terzo atto, “Parigi, o cara” e “È strano …. Sempre libera” da La traviata.
Chiude il concerto “Ah mes amis … pour mon âme” da La fille du régiment di Gaetano Donizetti.
Il crocevia del gusto: cantare l’opera italiana da una metà all’altra dell’Ottocento
Dal testo di presentazione di Alberto Mattioli nel programma di sala Regione Lirica 2021
[…] Un concerto come questo porta a riflettere su quel crocevia del gusto che furono due decenni dell’Ottocento, dai primi anni Trenta agli anni Cinquanta. L’avvento di Rossini era stato la più clamorosa, categorica e repentina affermazione nella storia dell’opera italiana, aveva omogeneizzato i cartelloni, monopolizzati dal pesarese, e cristallizzato il modo di cantare nell’ultima grande stagione del Belcanto, inteso non solo come una tecnica ma anche e forse soprattutto come un’estetica. Ma il Romanticismo incombe. E così dal 1831, l’anno della famosa o famigerata (e soprattutto mitica) «invenzione del do di petto» da parte di Gilbert‑Louis Duprez in occasione della prima italiana, a Lucca, del Guillaume Tell, anzi Guglielmo Tell (e qui, il primo dei molti paradossi che incontreremo, sia pure in un’attività che è già abbastanza paradossale di suo come il canto: c’è un tenore francese che canta in italiano un’opera francese di un autore italiano e lo fa, lui francese, rompendo con una plurisecolare tradizione nazionale), la vocalità tenorile si sdoppia fra Giovanni Battista Rubini e i suoi eredi, cioè il romanticismo del sospiro, della voce mista, degli acuti in falsettone, della dolcezza ipnotica delle “cantilene” belliniane, e i seguaci di Duprez, i fautori della “voix sombrée”, dei fraseggi nervosi, dell’uso del registro di petto, dell’acuto elettrizzante: i nipotini di Edgardo, poi destinati a trionfare. In mezzo, i compositori. Nel 1843, Donizetti scrive Don Pasquale per Mario, al secolo Giovanni Matteo da Candia, il più celebre e celebrato similRubini, «il Rodolfo Valentino della scena operistica», come lo chiama Julian Budden, che però vent’anni dopo, nel ’62, ispirava a un giovane e ancora scapigliato Boito una definizione al cianuro: «ridevole cigolio di quella gola incensata». Però Verdi, il cui tenore di riferimento era semmai, all’epoca, un dupreziano come Gaetano Fraschini, non si farà pregare di omaggiare Mario, che nel ’46 riprendeva I due Foscari a Parigi, con una folle cabaletta nuova, tutta sospiri e perfino passi d’agilità, che porta la voce al mi bemolle acuto.
Come fosse invece Giovan Battista Genero, il primo Nemorino a Milano nel 1832 (ma alla Cannobbiana, non alla Scala) non lo sappiamo bene, perché non era un divo. Certo che la parte tenorile dell’Elisir d’amore è anfibia, si presta a esser cantata da tutti i tipi di tenori, dai leggeri agli spinti, volendo ancora dare retta a queste vetuste classificazioni. Al massimo, potrà capitare di non venire capiti dalla critica, come successe a Enrico Caruso giocando in casa, cioè al San Carlo nella stagione 1901‑1902, quando il suo Nemorino “scuro”, virile e forse un po’ verista fu sfavorevolmente paragonato a quello di Ferdinando De Lucia: “inde ira” del tenorissimo verso la sua città. Curiosamente, è una parte così anche quella del Duca di Mantova. Nel senso che la possono cantare tenori di tutti i generi (quanto a cantarla bene, si sa, è un’altra faccenda). Fedele D’Amico pensava che un lirico leggero fosse l’ideale per rendere l’aspetto frivolo e “volage” del personaggio; Eugenio Gara identificava il Duca ideale invece proprio in Caruso, nella sua sensualità predace o addirittura stupratoria. La parte fu scritta per un tenore che oggi definiremmo (forse) lirico spinto o addirittura drammatico: un altro napoletano, Raffaele Mirate, che alla prima assoluta veneziana del 1851 “trissò” la canzone. Però, ricorda Rodolfo Celletti, già all’epoca qualche critico osservò che la parte del Duca avrebbe richiesto una voce più leggera, chissà. […]E le signore? Il discorso è uguale e contrario, se pensiamo che l’Ottocento inizia con le voci scure di mezzosoprani nemmeno tanti acuti come la Colbran o la Pasta o la Malibran e finisce (non tanto in gloria) con i soprani di coloratura impegnati a trasformare Lucia o Gilda in bambole gorgheggianti come difesa a oltranza di una verginità obbligatoria, perduta la quale resta solo la fuga dalla realtà: vedi le celebri pazzie. Sabine Heinefetter, la prima Adina dell’Elisir d’amore, non è certo nell’olimpo delle primedonne ottocentesche; Teresa Brambilla, la prima Gilda di Rigoletto, sì. Come molte cantanti dell’epoca, in un gruppo sociale che praticava l’endogamia, anche in quanto membro di una famiglia supercanora: quattro sorelle tutte cantanti, due celebri contralti come Marietta e Giuseppina, due molto meno celebri soprani come Annetta e Lauretta, più una nipote di nuovo soprano e di nuovo famosa, Teresina, per inciso maritata Ponchielli. E poi c’è Violetta. Si sa che per molto tempo il fiasco della prima della Traviata alla Fenice nel 1853, che poi così fiasco non fu, fu attribuito alla povera Fanny Salvini-Donatelli (a sua volta matrigna di Tommaso Salvini, il Gassman del XIX secolo), accusata di aver sabotato il debutto per colpa del suo fisico, decisamente troppo abbondante per una tisica, e per aver avuto soltanto una delle “tre voci” di cui, secondo lo stupidario melodrammatico corrente, avrebbe bisogno la parte di Violetta. E tuttavia tutte le recensioni della prima sottolinearono che i brani solistici accolti meglio, o meno peggio, furono proprio quelli della Salvini. Però, a voler dare per una volta retta a Verdi e non ai suoi peggiori nemici, i sedicenti “verdiani”, la voce e la tecnica sono soltanto due dei requisiti richiesti a un cantante, certo indispensabili, ma nemmeno i più importanti in assoluto (cosa evidente se si pensa che per Verdi il canto e anzi la musica sono un mezzo e non un fine: il fine è il teatro).
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Progetto Regione Lirica /
Regione Campania
Teatro di San Carlo
sabato 24 luglio 2021, ore 20:00
GALA BELCANTO
Direttore | Riccardo Frizza♭
Soprano | Pretty Yende
Tenore | Xabier Anduaga♭
Programma
Gaetano Donizetti,
Don Pasquale – Sinfonia
L’elisir d’amore “Una parola o Adina”
“Una furtiva lagrima”
“Prendi per me sei libero”
Giuseppe Verdi,
Luisa Miller – sinfonia
Rigoletto “Caro nome”
“La donna è mobile”
La traviata – preludio atto III
“Parigi, o cara”
“È strano …. Sempre libera”
Gaetano Donizetti,
La fille du régiment “Ah mes amis … pour mon âme”
♭debutto al Teatro di San Carlo
Orchestra del Teatro di San Carlo
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