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Teatro di San Carlo

Le arie da concerto di Mozart con Rosa Feola e Dan Ettinger
Sabato 26 marzo

Dopo il successo di così fan tutte proseguono le attività mozartiane nell’ambito della Stagione 2021/22 del Teatro di San Carlo.
Sabato 26 marzo alle ore 18 è in programma uno straordinario concerto col soprano Rosa Feola e il direttore Dan Ettinger alla direzione dell’Orchestra del Teatro di San carlo.
In locandina tre delle più belle Arie da concerto di Wolfgang Amadeus Mozart, un repertorio che fu scritto per le grandi cantanti del tardo Settecento, da Josepha Duschek a Louise Villeneuve e a Nancy Storace, affidate ad una delle voci più importanti del nostro tempo.
Rosa Feola, casertana, ha avviato giovanissima una carriera luminosa che la pone infatti tra i cantanti più importanti a livello internazionale.
Il direttore israeliano Ettinger, che ha avviato la sua collaborazione con il San Carlo nell’estate scorsa con Carmen e poi con l’opera mozartiana in produzione fino al 2 aprile, dirigerà suonando anche il fortepiano nell’aria K505.
Le arie sono racchiuse idealmente tra due delle più celebri sinfonie mozartiane entrambe in sol minore: la n.25 e la n.40.

Dalla guida all’ascolto del programma di sala
di Giuseppina crescenzo

Il sinfonismo di Wolfgang Amadeus Mozart vive una nuova stagione tra la fine del 1773 e l’inizio del 1774, portando ad una svolta in quel genere strumentale peculiarmente tedesco. Non ancora diciottenne aveva prodotto già 30 sinfonie nelle quali si era delineata una ben precisa drammaturgia, oscillante tra due poli culturali e geografici ben distinti: quello italiano e quello austro-tedesco. Una smisurata bellezza melodica, fatta di esuberante vivacità tematica e di avvolgente sensualità italiana, si affiancava all’ ideale austro-tedesco, che il padre Leopold aveva improntato su un costruttivismo severo. Ritornato dal suo terzo viaggio italiano nel marzo del 1773, dopo essere rimasto a Salisburgo per tre mesi e mezzo, Mozart si era poi recato a Vienna per un soggiorno che risultò essere fecondissimo o meglio segnò «il grande cambiamento», per usare l’espressione di Alfred Einstein. Fu proprio nella capitale austriaca che ebbe modo di ascoltare le sinfonie dei più grandi compositori sinfonici dell’epoca: Franz Joseph Haydn, Jan Křtitel Vaňhal (anche noto come Johann Baptist Wanhal o Vanhal) e Johann Carl Ditters von Dittersdorf. Ne rimase fortemente influenzato e tornato a Salisburgo compose tra la fine del 1773 e il 1774 quattro nuove Sinfonie: in Sol minore K 183, in Do maggiore K 200, in La maggiore K 201, in Re maggiore K 202. Esse riflettono il passaggio dall’infanzia alla giovinezza del compositore, seguendo il taglio del coevo sinfonismo austro-tedesco in quattro tempi con l’integrazione del Minuetto, l’ampio sviluppo tematico a cui segue una costante reintroduzione dell’artificio delle code. Di conseguenza, il corpo sinfonico si amplia fino a raggiungere oramai la durata prima non usuale di quasi mezz’ora. Non si tratta solo di un tessuto sonoro ampliato di proporzioni, anche se questo è l’aspetto più visibile della nuova stagione sinfonica mozartiana. Merita in tale contesto riportare la citazione di Hermann Abert, che fu il secondo grande biografo di Mozart dopo Otto Jahn (Abert I, p.316): «Dalle precedenti queste sinfonie si distinguono esteriormente per la reintroduzione del Minuetto, ma interiormente per la decisa spinta verso il grandioso, l’eroico, spinta dietro la quale non a storto si è voluto vedere il contraccolpo delle impressioni viennesi. Le dimensioni esterne aumentano potentemente: gli svolgimenti perdono il loro carattere di mere transizioni, certo non sono ancora rigorosamente tematici come in Haydn, e preferiscono ancora il prolungamento dei temi principali con procedimenti sequenziali, ma ciò non accade più col piacevole chiacchierio degli italiani, bensì con una singolare energia, spesso appassionata, che tiene sempre ferma nell’occhio la propria meta e spesso riesce a raggiungerla infine in maniera schiettamente mozartiana, cioè con ogni sorta di sorprese poetiche […] I temi sono più significativi e la loro elaborazione va assai più a fondo, grazie all’aumento di prestazioni del contrappunto e all’indipendenza tematica degli strumenti a fiato. La ricerca d’una convergenza ideale dei quattro tempi si manifesta specialmente nelle due sinfonie più importanti, in Sol minore e in La maggiore, mentre in quella in Re maggiore appunto per questo resta un pochettino indietro, perché fa ritorno, certamente per esplicito desiderio dell’Arcivescovo, nella cerchia dell’usuale musica galante d’intrattenimento».
Non a caso Massimo Mila definì la Sinfonia in Sol minore K 183, composta tra il dicembre 1773 e il marzo 1774 è «superba di fuoco romantico». Per questa sinfonia è d’obbligo il confronto con la sinfonia K 550 di uguale tonalità e composta a Vienna nel luglio del 1788. In realtà, a quindici anni di distanza, il gruppo delle ultime tre sinfonie di Mozart del 1778 (in Mi bemolle maggiore K 543, in Sol minore K 550 e in Do maggiore K 551) sembra riprendere idee e temi di questo insieme di quattro sinfonie del 1773-74. Le due Sinfonie K 183 e K 550, peraltro, sono accomunate da diverse analogie tematiche: l’umore tempestoso e, anzi, tragico dello stesso tono in Sol minore; lo schema dell’opera che include un Minuetto e che le distingue da alcune sorelle-sinfonie, composte in soli tre movimenti e concepite più nello stile di un’ouverture italiana; il primo tema del primo movimento “Allegro con brio”, nella Sinfonia K 183, presenta lo stesso arpeggio ascendente di Sol minore dell’inizio del finale della K 550, sebbene con altri valori ritmici. Si tratta di un disegno, quasi una firma o un’impronta mozartiana sublimata in diverse composizioni che, secondo Abert, trae la sua origine nell’inizio dell’Intonazione gregoriana del Magnificat di terzo tono. Consiste in un motto di quattro note lunghe, un motivo drammatico utilizzato già da Haydn nelle Sinfonie n. 44 in Mi minore e n. 52 in Do minore; qui nella K 183 un simile motto pronunciato dagli oboi è riverberato dalle sincopi inquietanti degli archi. Il profilo melodico del motto mozartiano è caratterizzato da due grandi intervalli drammaticamente discendenti, con un semitono ascendente nel mezzo. Il carattere agitato e testardo del primo tema segue tal quale nel secondo tema in Si bemolle maggiore, relativo di Sol minore. Una breve scivolata discendente di biscrome riecheggiata per diciotto volte si apre a drammatici arpeggi discendenti che sembrano condurre direttamente alla melodia, inquieta, ripresa nel “terzetto delle maschere” nel Finale I di Don Giovanni (1787). Senza nessuno stacco, secondo l’uso tipicamente viennese, si trapassa direttamente allo sviluppo che si traduce in uno estremo smarrimento manifestato da violini e viole fino a gingere alla ripresa, il cui tema viene riportato nella tonalità di Sol minore, a cui segue una breve coda che fornisce una solenne conclusione al primo movimento.L’Andante in Mi bemolle maggiore del secondo tempo è, secondo Abert «pieno dello stesso intimo affanno; certo, esso si manifesta meno forte e provocante, ma appunto per questo tanto più introverso; pensieri fiduciosi vengono malapena in luce». Il suo è un carattere di affettuoso conforto richiama ancora una volta il Don Giovanni (la melodia intonata dal conte Ottavio nella breve e drammatica scena con Donn’Anna, subito dopo l’uccisione del Commendatore).
Troppo nota la Sinfonia n.40 in Sol minore K550 perché si possa anche solo tentare di riassumere le tante analisi degli studiosi di Mozart degli ultimi due secoli. come le sorelle K553 e 551, la Sinfonia in Sol minore nacque in una parentesi estiva trascorsa da Mozart in una casa di campagna alla periferia di Vienna nel 1788 e risente del periodo di esaltazione e poi frustrazione seguiti alla sfortunata prima del Don Giovanni a Vienna l’anno precedente. In gravi ristrettezze economiche, egli sperava forse in un successo commerciale di questa produzione sinfonica ma le tre composizioni che chiudono il suo catalogo sinfonico e che sono oggi tra le più fortunate ed eseguite in tutto il mondo, non ebbero mai una esecuzione durante la vita dell’autore, alimentando il mistero sulla loro gestazione. Pensiamo soltanto a quel tema iniziale così elementare eppure potente su cui si costruisce l’intera impalcatura della Sinfonia: in realtà due note principali ribattute a distanza di semitono, con una netta anacrusi che sposta l’accento sul tempo debole, creando una impressione di moto perpetuo inarrestabile. L’uso del semitono cromatico è da sempre nella storia della musica occidentale un perfetto strumento per avviare modulazioni e rapidi mutamenti di tonalità, ma è anche un modulo ritmicamente dinamico. con elementi minimi, Mozart costruisce una struttura possente, che passa da un movimento all’altro collegandoli tra loro e sconvolgendo l’apparente placida forma sonata che è utilizzata in maniera classica ma solo come contenitore. Una bellezza commovente ed eternamente “giovane” come resta il suo autore nell’immaginario europeo fino ai nostri giorni.

È interessante collegare agli stessi anni viennesi delle ultime Sinfonie, tormentati ma straordinariamente fruttuosi, la produzione di arie da concerto di Mozart, di analoga stupefacente bellezza. Stefan Kunze, curatore dell’edizione critica delle arie da concerto per la Neue Mozart-Ausgabe, già in un articolo del 1971 aveva sottolineato che il termine Konzertarie (tradotto in italiano come “aria da concerto”) non era in uso nel diciottesimo secolo: dunque il termine «aria da concerto» è sorto solo a posteriori, e questo rende più difficile per uno storico darne una definizione filologica. Cosa si intende quindi per “aria da concerto”? Il termine implica che un’aria del tardo Settecento, tralasciando la provenienza e il motivo per cui sia stata composta, non fosse eseguita nel contesto del teatro d’opera ma all’interno di un “concerto” appunto. E tuttavia, l’aria Vado, ma dove? KV 583, che è tratta dall’opera II Burbero di buon core di Martín y Soler, è allo stesso tempo un’aria d’opera ma anche una tipica “aria da concerto”. Per Mozart e i suoi contemporanei, infatti, un’aria era semplicemente un’aria, indipendentemente dal fatto che fosse composta per un’opera o per un cantante o un’altra occasione specifica. In questo senso il termine mantiene il significato originario della sua prima apparizione nel mondo musicale barocco agli inizi del Seicento e valida fino alla prima metà del Settecento. Superata la metà del secolo e avvicinandoci all’attività compositiva mozartiana, è rilevante riportare la testimonianza di Stefano Arteaga, il quale nel 1785 fa menzione di
altro francese autore d’un bel Trattato sul Melodramma [l’autore, probabilmente un Enciclopedista, non è indicato] […] distingue […] due sorte di musica una semplice e un’altra composta, una che canta e un’altra che dipinge, una che chiama di Concerto e un’altra di Teatro. Alla musica di concerto permette il cercar le forme più leggiadre di canto, lo scegliere i motivi più belli, e il far uso di tutte le squisitezze della melodia, ma non vorrebbe che la musica di teatro pensasse a verun’altra cosa fuorché all’unica espressione delle parole…

Il contributo di Mozart allo sviluppo e evoluzione dell’aria da concerto rimane indubbiamente qualcosa di unico e irripetibile. Prima ancora di inaugurare con l’aria Non so d’onde viene K 294 la lunga serie di arie da concerto, Mozart aveva iniziato ad eseguire alcune arie estrapolate dalle sue opere giovanili nel corso di concerti che gli venivano richiesti. L’evoluzione creativa di Wolfgang lo portò ad una sempre maggiore perfezione di questo genere compositivo e il distacco dall’aria d’opera rinvierà a esempi di composizione vocale extra-operistica con un tono del tutto originale e personale ed un significato drammatico-musicale e caratteristiche formali non concepibili allo stesso modo dell’opera. «Sicuramente, ciò non si può applicare alle arie K 272, K 505 e K 528, che sono eccezioni alla regola, ma non in virtù di un diverso modello di forma dettato dall’atmosfera di una piattaforma da concerto, piuttosto grazie alla singolarità della loro invenzione musicale. In tutte queste arie, in realtà […] possono essere rinvenute componenti che le distinguano dalle loro corrispondenti operistiche. In assenza dello scenario, le frasi liriche possono lussureggiare; l’orchestra si comporta quasi come in un concerto per pianoforte – cioè, circondando il cantante in prossimità della piattaforma da concerto, invece di sostenerlo dalla buca orchestrale; gli elementi concertanti abbondano nel solista e nell’accompagnamento; le arie sono più particolarmente scritte per adattarsi alle peculiarità di un determinato cantante, e, avendo tre o più sezioni di velocità variabile, forniscono una pittura completa di quel personaggio». (Paul Hamburger)
E fu proprio per la voce della cantante Josepha Duschek che compose, subito dopo la prima rappresentazione di Don Giovanni (29 ottobre 1787) e mentre era ancora a Praga, la scena KV 528 “Bella mia fiamma, addio” – “Resta, oh cara”. Oltre all’autografo, sono pervenute diverse copie di questo componimento, mentre il titolo di una copia databile intorno al 1800 (Recitativo con Rondò) delinea correttamente la struttura formale dell’aria come, appunto, Rondò. Mozart preferiva questa forma per scene soliste isolate piene di pathos. Nell’aria KV 528, Mozart ambientò una scena di disperazione e addio tipica dell’opera seria. Il testo è infatti tratto dall’opera mitologica Cerere placata (II, 5) scritta da D. Michele Sarcone musicata da Niccolò Jommelli in occasione di una festa di battesimo reale a Napoli nel 1772. La scena è preceduta dalla seguente azione drammatica: Titano, re d’Iberia, ha chiesto in sposa a Cerere, regina di Sicilia, la mano della figlia Proserpina ed è stata respinta. Quindi rapisce Proserpina. Cerere giura vendetta su Titano, che viene presto fatto prigioniero da Cerere. La prima parte si chiude con l’annuncio di Cerere che vuole vendicarsi. Nella terza parte Titano viene portato davanti a Cerere. Inizialmente lo condanna a morte, ma poi lo bandisce per sempre. Con il recitativo “Bella mia fiamma, addio” inizia lo sfogo di disperazione di Titano per la separazione dalla sua amata. Nel recitativo, ma ancor più fortemente nell’aria, si rivolge non solo a Proserpina, ma anche a Cerere («Prendi cura […]» e «Vieni, affretta […]») e ad Alfeo, il principe d’Elide («Consolarla almen […]»). La seguente indicazione scenica nel libretto originalecaratterizza l’azione: “Parte seguito dalle guardie. Proserpina piangendo l’accompagna infino all’estremo della Scena, indi torna sulla dritta di Cerere, che si è intanto inoltrata verso Alfeo, di modo che poi rimane nel mezzo.” E così, inaspettamente, la scena ed aria di “Bella mia fiamma” nella riscrittura mozartiana fecero il loro ingresso nelle sale da concerto.
Per un altro celebre soprano, Louise Villeneuve, Mozart compose nel 1789 invece l’aria KV 583 “Vado , ma colomba? oh Dei!” tratta dall’opera Il burbero di buon core di Martìn y Soler. Louise Villeneuve aveva fatto il suo debutto al Burgtheater di Vienna nel 1789 e sarebbe stata stata la prima Dorabella di così fan tutte. La prima rappresentazione dell’opera di Martìn y Soler su libretto di Lorenzo Da Ponte ebbe luogo al Burgtheater il 4 gennaio 1789 al Burgtheater. L’aria KV 583 composta per il ruolo femminile principale di Lucilla. Dopo un incontro con il marito agitato che le vieta, senza fornire alcuna motivazione, qualsiasi coinvolgimento nei suoi affari di famiglia, Lucilla è perplessa. Si chiede cosa potrebbe esserci dietro il trambusto di suo marito. Alla presenza della moglie Lucilla, Giocondo, le cui attività commerciali non sono delle migliori condizioni, ha appena saputo che i suoi creditori non sono più disposti a rimandare e che tutto è ormai perduto. Giocondo, che spera di essere salvato dalla sua difficile situazione dal suo gentile ma caparbio e rude zio (Ferramondo), ora deve confessare la verità della sua situazione a Lucilla. Costei dà voce alle sue lamentele e afferma il suo amore per Giocondo. Nella versione originale dell’opera, la scena si concludeva con un duetto.
Ann (Nancy) Storace, di origine italo-inglese è invece la musa ispiratrice dell’aria per soprano (Recitativo con Rondò) KV 505 “Ch’io mi scordi di te?” – “Non temer amato bene”; forse composta per la serata d’addio alle scene della cantante il 23 febbraio 1787. L’aria fu spesso eseguita nelle forme e occasioni più disparate, comprese testi in tedesco e testi sacri (come l’Offertorio «In te domine speravi”) e in una copia dell’inizio del XIX secolo è perfino trasposta per contralto. Il testo del brano è la versione della scena con recitativo usata nell’esecuzione privata di Idomeneo dello stesso Mozart avvenuta nella residenza degli Auersperg il 13 marzo 1786 al posto dell’originario inizio dell’atto II. Ilia rimprovera a Idamante il suo amore per Elettra . Idamante cerca di calmare Ilia, rivolgendosi a lui con le parole “Ch’io mi scordi di te?”. L’autore del testo di questa rielaborazione di Idomeneo non è noto. L’opera fu presto eseguita nella sala da concerto. Nella rivista Allgemeine musikalische Zeitung, V anno, Vienna, 1821 c’è però un commento che il pezzo è “più adatto per l’intrattenimento da camera. Le bellezze del pezzo sono troppo intense e mirano meno a un effetto brillante di quello che ora viene richiesto in teatro”.
Nancy Storace arrivò a Vienna nel 1784 come primadonna all’età di 19 anni e fu la prima Susanne delle Nozze di Figaro. Mozart compose per lei la Scena KV 505 con la quale si congedò dal pubblico viennese prima del suo ritorno a Londra nel 1787. Si era formata con Rauzzini e poi in Italia con Sacchini, e aveva avuto ruoli da protagonista a Firenze, Mailand e Venezia prima di giungere a Vienna. Era ammirata meno per la sua voce che per la sua recitazione e il suo temperamento, in particolare nei ruoli comici buffi. La lode per le sue qualità canore è confermata da diverse fonti, come ad esempio nell’»Allgemeine Musikalische Zeitung”: «[…] con Storace, si dice ancora a sua lode che fu una perdita insostituibile per il palcoscenico, poiché incarnava, come nessuno al mondo ai suoi tempi, e come pochi in assoluto, tutti i doni della natura che si potrebbe desiderare nell’opera comica italiana in una persona […]». E ricordiamo il suo legame burrascoso con Lorenzo Da Ponte.
Se volessimo tracciare una conclusione per inquadrare il programma del concerto odierno, potremmo ribadire che Mozart – esattamente come aveva dimostrato in campo sinfonico – si dimostra creatore assoluto di un linguaggio sonoro ch modella con duttilità adattandolo ai diversi tipi di voci per cui si trovava a comporre, da Josepha Duschek a Louise Villeneuve e a Nancy Storace – ed alle esigenze drammatiche dell’interprete e del testo (Cristina Wyozic).

Teatro di San Carlo
sabato 26 marzo 2022, ore 18:00
DAN ETTINGER /ROSA FEOLA

Direttore | Dan Ettinger
Soprano | Rosa Feola

Programma
Wolfgang Amadeus Mozart, Sinfonia n. 25 in Sol minore K 183
«Bella mia fiamma, addio», aria da concerto per soprano ed orchestra, K 528
«Vado, ma dove? Oh Dei!» aria da concerto in mi bemolle maggiore per soprano ed orchestra, K 583
«Ch’io mi scordi di te?… Non temer, amato bene» Recitativo e aria in mi bemolle maggiore per soprano, pianoforte e orchestra, K 505
Sinfonia n. 40 in Sol minore K 550

Orchestra del Teatro di San Carlo

Con gentile preghiera di pubblicazione e/o diffusione
Rossana Russo,
Responsabile della comunicazione creativa e strategica e relazioni con la Stampa
r.russo@teatrosancarlo.it
cell 3357431980

Giulia Romito, Comunicazione e Stampa
g.romito@teatrosancarlo.it 0817972301

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