La scuola non crea persone libere ma con lo stampino. Le tracce della maturità di quest’anno confermano
Pierfranco Bruni
Parto da un punto incontrovertibile dal mio punto di vista, ma che, chiaramente, può essere messo in discussione come si vuole motivando però il tutto. Altrimenti no ha senso e si perpetua l’intolleranza. La scuola non educa al pensiero libero. Crea o vorrebbe creare degli stampini. Non sempre però ci riesce. L’esame di maturità di quest’anno conferma. Solito conformismo. Solita mediocrità. Non si lascia all’alunno di esprimere un giudizio, ma di interpretare un brano in linea con ciò che è stato ribadito dalla critica precostituita sul brano. Cosa è avvenuto anche quest’anno? Come possiamo pretendere di far crescere una generazione libera. Dico libera. Non stampinata con la presunzione della libertà.
Tipica poesia nella tradizione di Giovanni Pascoli delle «Myrycae» è «L’ultima passeggiata» da «La via ferrata» il cui contesto lirico è scarsamente poetico ma fortemente ancorato non alle innovazioni pascoliane che si aprono al Novecento ma che invece stagnano nel fine Ottocento.
Dimostrazione che in letteratura la scuola non sa andare oltre e sino a quando insisteranno queste proposte tutta la didattica letteraria resterà ancorata al contesto Casati. E non oltre.
Pascoli non è questa poesia e non è ricordabile per versi sullo schema di ABA, CBC, DEDE. Insomma una scuola rimasta al precrepuscolo che non riesce ad andare oltre la rivoluzione linguistica sia sul piano formativo che estetico. Se vogliamo fare credere che la tradizione pascoliana si sintetizza in questo Pascoli abbiamo sbagliato una indicazione letteraria, che, invece, dovrebbe mostrare il meglio di un autore.
Scelta non accettabile conoscendo la grandiosità di Pascoli. D’altronde la scuola italiana rispecchia la mediocrità di una cultura italiana mediocre. Siamo ad analizzare e ad interpretare «la via ferrata che lontano brilla», oppure «digradano in fuggente ordine i pali» e ancora l’incipit «Tra argini su cui mucche tranquillamente pascolano».
Ma dai, cerchiamo di dare il meglio della poesia di Pascoli se abbiamo il coraggio di far conoscere il poeta omerico interventista nella guerra di Libia. Se un alunno dovesse scrivere che questa poesia preannuncia, anticipa, il futurismo del 1905 con termini come «la via ferrata» e l’anarchismo di Pascoli con il concetto compiuto in due parole: «fuggente ordine», cosa accadrebbe? Eppure Pascoli in questa poesia del 1886 compie una operazione similare. Cosa accadrebbe? Fuori luogo fuori tema considerate le note ai piedi della poesia.
Il trionfo della mediocrità si inerpica dappertutto ormai. E su Verga siamo allo stello livello. Anzi direi peggio. In un centenario Verghiano, che avrebbe dovuto fare scintille soprattutto negli istituti scolastici d’Italia, si propone un brano siciliano, ovvero un bozzetto siciliano, di «Nedda» risalente al 1874.
Una chicca o una nicchia? Il Verga che muore cento anni fa è un monumento della letteratura, ma non lo è certamente per i bozzetti o per una novella. È un monumento per il progetto narrativo che ha imposto in un contesto intrecciato tra Svevo, D’Annunzio, Deledda. Certo, la continuità linguistica e letteraria è una regola. Ma, ripeto, non si possono aprire le stanze piccole pur con gioielli preziosi avendo a disposizione interi palazzi con stanze e corridoi che fanno però da linee separanti.
Proprio sul tanto storicizzato Verga si sarebbe dovuto fare un percorso di altra natura e non un consumato, o consolidato, approccio tematico – stilistico neddiano.
A parte il fatto della prevedibilità di una traccia su Verga si sarebbe dovuto fare riflettere sul Verga provvidenziale e non naturalista, su un Verga costruttore del destino del personaggio avventura e non sulla scolasticità del non pensiero sulla complessità della letteratura.
Perché il punto è proprio qui. Educhiamo a pensare la letteratura o adottiamo la tecnica dell’eco libresco antologico? Se si dovesse uscire fuori dai confini della interpretazione scolastica o docentale cosa accadrebbe? Il compito verrebbe considerato fuori traccia. Vero.
Se io allievo, in un verso di Pascoli, interpretandolo mi suggerisce altro e oltre l’analisi testuale conformista a cosa vado incontro? Chiaramente ad una sottolineatura di non conforme all’analisi del testo.
Ci si ricasca ogni anno, tranne in pochissime occasioni, al conformismo di una scuola che non educa a pensare ma a riportare come uno stampino ciò che da epoche si dice, in questo caso, di Pascoli e Verga.
Per il resto delle tracce tutte appaganti il reale stato delle cose. Il bisogno di omologazione, avrebbe detto Pasolini, è padrone e regnante di un tempo leggero. Ma a scuola la leggerezza, purtroppo, viene presa come esempio da imitare secondo le lezioni del tanto modulato, ieri come oggi, Calvino. Tutto, a mio avviso, discutibile. Dalla letteratura inchiodata in parte in Pavese e dalla analogia fantasiosa derivata da Propp e dalla favola anche russa. Ma questo è un altro discorso. Restano i soliti quesiti che hanno una valenza socio-dinamica in un’età pandemica e contraddistinta dalle ambiguità. E va bene. Domani non si parlerà più. Lasciamoci con l’eros di Verga del «Nedda»: «I suoi capelli erano neri, folti, arruffati, appena annodati con dello spago, aveva denti bianchi come avorio, e una certa grossolana avvenenza di lineamenti che rendeva attraente il suo sorriso.»
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