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“Il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero” (Pietro Citati). Non possiamo dire cosa è cosa sia la bellezza. Esiste. Da Proust a Leopardi. Da Manzoni ad Omero attraversando la cristianità dei Vangeli, e costantemente affiancato da Paolo in un pellegrinaggio di contemplazione. Un viaggio in una letteratura che non può essere solo linguaggio, ma deve essere soprattutto metafisica.
Se lo scrittore non si confronta con la metafisica non ha il senso della vita, del tempo e del gioco impermeabile del sacro.
Pietro Citati.
Nell’anno delle celebrazioni proustiane e del Pasolini della sofferenza ci ha consegnato un «monumento» di letteratura, appunto Pietro Citati. Il suo sistematico e progettuale navigare tra i porti dell’immaginario delle colombe ferite alla Proust del tempo ritrovato nel perduto è andato oltre. Verso le parole di Giovanni che ancora non smette di trovare, giorno dopo giorno, il Cristo crocefisso e del Cristo risorto.
Pietro Citati ha sempre creato nella metafisica della letteratura un approdo. Con Gadda, al quale era molto legato, con Pasolini e la sua malinconica gentilezza, con Kafka avvolto tra le metamorfosi dell’enigma e il silenzio dell’assurdo.
Il tempo travolgente e intramontabile. Può avere un tramonto il tempo? Quel tramonto omerico tra le sponde degli Orienti e dell’Occidente tra Pitagora e Platone in un Mediterraneo di isole vissute.
La mente è sempre colorata, come ebbe a intitolare un suo libro, perché «…una lenta, immensa e soavissima onda di quel mare, dove Ulisse ha tanto viaggiato e che ha amato e odiato, supera la riva, il porto di Forco, l’ulivo dalle foglie sottili, la grotta delle Naiadi, e trascina via, per sempre, l’uomo pieno di colori e dolori».
Limmesso di Ulisse è nella nostalgia di Leopardi o nel senso dell’esistenza: «Se vogliamo conoscere il senso dell’esistenza, dobbiamo aprire un libro: là in fondo, nell’angolo più oscuro del capitolo, c’è una frase scritta apposta per noi”.
La dimensione del mistero accompagna il setaccio della parola. Di una parola simbolo che è sempre dietro, dentro, in uno spicchio di bellezza.
A Dostoevskij dedica una eredità di onirica tragedia. Con la letteratura russa intreccio un dialogo di specchio nello specchio ponendo nello spazio piccolo più remoto lo sguardo della bellezza. Ma la bellezza è nel Dio mai nascosto e sempre ontologico in Cristo conosciuto.
È lapidario: «Dietro le parole e gli esempi, continuerà a muoversi senza fine l’innominabile, indescrivibile punto di fuga, al quale, nelle parole del linguaggio umano, diamo il nome di Dio».
I suoi ultimi libri non smettono di essere un diario. Diario nella letteratura dell’uomo e nell’uomo che può dimostrare l’archetipo del tempo in mito.
Da «Sogni antichi e moderni» del 2016, a «Il silenzio e l’abisso» del 2018, e a «Dostoevskij: senza misura. Saggi russi» del 2021.
In cammino verso la Terra Promessa preceduto, come già dicevo, da Manzoni, Kafka, Proust, Leopardi a Cervantes fino a «La malattia dell’infinito. La letteratura del Novecento» che appartiene al 2008.
Uno stare dentro la parola. La parola che diventa una armonia come in «L’armonia del mondo. Miti d’oggi» del 1998. O alla luce nella luce della notte che segue quella colomba pugnalata della «Recherche» di Proust. Un mosaico di intimità e di perlustrazioni di immagini e immaginari con il suo Goethe e nel suo Cosroe.
Insomma un mondo di mondi nel quale e nei quali Pietro Citati non cerca soltanto il linguaggio delle scritture, ma il suo labirintico centro. Perché in fondo «La letteratura impegna tutta la vita, tutti i sentimenti: non può esserci impegno più totale. Ma non è impegno solo sulla vita e tanto meno sulla politica. È un impegno sulla sostanza, sulla totalità dell’Essere. E molte volte è anche un impegno religioso».
Impegno religioso. Certo. Il suo «Vangeli» risale al 2014. Un libro scritto non con i caratteri. Ma con l’anima. Con le parole dell’anima.
“Dal senso di assoluta vicinanza, che si trasforma in assoluta distanza, nasce la religionecristiana: forse ogni religione”.
Pietro Citati era nato a Firenze il 20 febbraio del 1930. È morto a Castiglione della Pescaia il 28 luglio 2022. Raccontiamo perché consapevole che «Non solo il dubbio giova a scoprire il vero, ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio».
Un paesaggio che mai si sfilaccia e incontri la vita come senso e il senso della verità nella vita. Un destino in desiderio di consapevolezza tra la vita nella letteratura e la letteratura nella vita. Sottolineare la vita che diventa tempo. Con Proust, con Tolstoj, con Leopardi. Scriverà: «Pochi esseri umani hanno desiderato la felicità con la veemenza, la dolcezza, l’ebbrezza febbrile di Marcel Proust adolescente. Forse solo il giovane Tolstoj, il quale gli era legato da singolari affinità e somiglianze, desiderò la felicità con la stessa ansia dolorosa e incontenibile: egli pretendeva che la vita restasse sé stessa, nient’altro che un attimo di tempo, eppure balzasse oltre un limite, diventando un misterioso al di là, un’epifania dell’invisibile e dell’oltretempo. Il giovane Proust fu felice, o almeno lo disse, lo raccontò e lo immaginò con sé stesso. Era felice perché un raggio di sole splendeva, perché odorava il profumo di un fiore, perché amava un ragazzo o una ragazza, perché voleva bene a sua madre, perché leggeva un bel libro, perché scopriva le grandi leggi dell’esistenza, e sopratutto perché «le cose sono così belle nell’essere quello che sono e l’esistenza è una bellezza così calma diffusa intorno a loro». Ancora denti il racconto della vita. Dentro la letteratura che è vita in una eleganza e stile che è voce di una nobiltà che Pietro Citati ha portato sempre nella sua scrittura.