|
Tragico e sacro in Manzoni a 150 anni dalla scomparsa in una lettura comparata
Micol Bruni
Siamo giunti ai 150 anni dalla scomparsa di Alessandro Manzoni. Le letture ancora oggi sono diverse e la bibliografia critica è abbastanza consistente e aperta in una complessità di interpretazioni.
Posizionare la visione del concetto di Tradizione nell’opera di Alessandro Manzoni significherebbe anche scendere nel «gorgo» metafisico che traccia la strada dai Padri del cristianesimo a Dante Alighieri e da questo a tutto il rapporto tra storia e mito in Vico sino a toccare tutto il Risorgimento che non è da collocarlo soltanto nella cultura del Romanticismo.
Manzoni è una eredità identitaria che chiude il suo ciclo addirittura in una visione filosofica dell’attualismo gentiliano. Ciò è catturabile e percepibile non solo nei «Promessi sposi» ma nella complessità di tutta la sua opera compresa la sua lettura filosofica kantiana prima e fenomenologica dopo.
È proprio qui che ciò che sarà l’attualismo gentiliano assumerà una «struttura» fenomenologica religiosa con i personaggi dei «Promessi» ma che, comunque, troverà la sua dimensione antropologica proprio in quel contrasto tra don Abbondio e fra Cristoforo certamente, ma fortemente nella espressione «tragica» delle sue tragedie e nella «Colonna infame», che costruisce e costituisce il senso di un orizzonte problematico tra il Bene e il Male. Problematicità dostojeschiana in cui vive nel fondo una irripetibile pedagogia che sarà tolstojana. Sono aspetti che pongono al centro il dilemma ma anche la bellezza di un confronto legame tra la concentrazione conservatrice dei principí valoriali e la Tradizione che sarà di De Maistre.
Manzoni è forse il primo scrittore moderno risorgimentale che puntualizza la Tradizione come identità dentro la religiosità popolare e tra il Cristianesimo dell’Antico Testamento e la cattolicità paolina. Questo nell’Opera dei «Promessi», ma al romanzo Manzoni giunge con gli «Inni» e, appunto, attraverso i personaggi che raccontano il destino del tragico in uno scavo in cui la storia sembra superata dal racconto ma è il racconto che fa la storia pur restando nell’intreccio tra ricerca della verità e disubbidienza del dubbio amletico. Una catarsi e un riferimento oltre la Ragione sulla quale la temperia manzoniana viveva ed egli stesso aveva ben osservato nella stagione pre conversione. È la conversione la decisione fondante della Tradizione che segna tutta l’opera manzoniana, ma la segna attraverso l’uomo. Quell’uomo erede di un umanesimo ficiniano che diventerà l’interferenza necessaria per porre al centro lo scrittore di un Ottocento che impregna il suo essere di un’età barocca e pre rivoluzionaria e quindi per illuminata.
La Ragione può avere un senso in un uomo-scrittore che fa del sacro la inarrestabile dimensione dell’uomo religioso. Religioso tra cattolicità e cristianità cercando di non raggiungere il limite del compromesso. La fenomenologia alla quale facevo riferimento è fenomenologia dello spirito. Un tratto caratteristico di una filosofia che è dentro la letteratura, dentro la scrittura, dentro i linguaggi. E sì. Perché in Manzoni il linguaggio resta fondamentale non solo dal punto di vista della parola ma soprattutto sul piano della lingua che diventa lingua nazionale. Quella lingua nazionale che unirà i cuori e le anime, le geografie e le conoscenza di Edmondo D’Amicis. Manzoni, comunque, è una unicità nel dare un senso d’orizzonte ad un processo culturale fortemente radicante nelle appartenenze. Fenomenologia dello spirito.
Definizione dei personaggi. Tragico e sacro. Tre elementi che segneranno il cammino di un secolo-epoca che diventerà non solo testimonianza ma testamento. In fondo «Inni sacri», tragedie e «Promessi sposi» con la «Colonna» sono il testamento del Risorgere del Romanticismo, oltre l’Illuminismo, consegnato al Novecento sino a toccare una modernità che sigla la nostra contemporanea che sa di avere bisogno della Tradizione per non morire di oblio o di noia e per non suicidarsi nella attualità.