Trump e i repubblicani: guerra all’FBI? di Domenico Maceri

 

Trump e i repubblicani: guerra all’FBI?

Donald Trump non ammette mai di avere sbagliato ma ci è arrivato vicino in una recente intervista alla Fox News. Rispondendo all’intervistatrice Maria Bartiromo, l’ex presidente ha concesso che la nomina di Christopher Wray a direttore dell’FBI è stato “probabilmente” un errore. Trump però ha sminuito l’ammissione assegnando la colpa a Chris Christie per averglielo raccomandato. L’ex governatore del New Jersey era stato grandissimo sostenitore di Trump nella campagna del 2016 ma poi dopo l’elezione presidenziale del 2020 ha preso le distanze. Nell’intervista con Bartiromo l’ex presidente, per chiudere il cerchio, ha attaccato Christie il quale sta correndo per la nomination del Partito Repubblicano, sfidando il suo ex capo in maniera frontale, accusandolo di non avere mantenuto le promesse e di essere immeritevole di rielezione.

Wray era stato collaboratore di Christie e infatti lo aveva rappresentato legalmente nello scandalo del Bridgegate, il blocco del ponte George Washington, che collega il New Jersey e New York. Alcuni collaboratori di Christie, per punire il sindaco di Fort Lee, fecero bloccare il ponte per parecchie ore causando seri problemi. La ragione sembra essere stata il mancato endorsement del sindaco alla rielezione per il secondo mandato di Christie a governatore del New Jersey nel 2013. Wray e l’FBI sono adesso bersagliati da accuse di Trump e dei parlamentari repubblicani alla Camera come si è visto nella recente audizione davanti alla Commissione di Giustizia. Wray è stato accusato di dirigere un’agenzia che favorisce i democratici. Nonostante le sue pacate risposte alle domande Wray ha categoricamente smentito l’accusa di essere favorevole alla sinistra dichiarando l’asserzione “pazzesca”, considerando le sue esperienze personali e politiche. Wray è sempre stato repubblicano e Trump, presidente repubblicano, lo ha nominato a dirigere l’FBI. La sua obiettività è anche riflessa dal fatto che con la vittoria di Joe Biden all’elezione del 2020 è stato mantenuto come direttore invece di sostituirlo con un democratico.

Anche da presidente Trump aveva attaccato l’FBI ma gli assalti più feroci sono avvenuti dopo la perquisizione del suo resort a Mar-a-Lago in Florida nel caso dei documenti riservati che lui avrebbe tenuto in possesso illegalmente. Va ricordato che dopo il “raid”, secondo Trump, lui è stato incriminato per possesso illegale di documenti top secret. Proprio di questi giorni ci sarà un incontro con la giudice Aileen Cannon per determinare la data dell’inizio del processo e le modalità.

La decisione di perquisire le proprietà di Trump da parte dell’FBI non è avvenuta senza considerazioni e seri dibattiti. Il Washington Post in un recente articolo cita fonti secondo cui prima della perquisizione sarebbe emerso uno scontro all’interno del Dipartimento di Giustizia. Da una parte si erano schierati i procuratori a favore della perquisizione. Dall’altra l’FBI voleva semplicemente richiedere a Trump di restituire i documenti. Alla fine però, sempre secondo le fonti del Washington Post, i procuratori hanno prevalso e più di 100 documenti, alcuni top secret, sono stati recuperati, contraddicendo attestati di Trump che tutti i documenti richiesti erano già stati consegnati.

Gli assalti di Trump all’FBI nella sua piattaforma Truth Social hanno galvanizzato i suoi sostenitori. Spicca il caso specifico di un individuo armato che fu ucciso mentre cercava di irrompere nell’ufficio dell’FBI a Cincinnati, Ohio. Gli attacchi di Trump quasi giornalieri al Dipartimento di Giustizia e i procuratori che stanno conducendo le indagini su possibili atti illegali dell’ex presidente sono stati colti anche dai parlamentari repubblicani alla Camera. Ecco come si spiega l’udienza di Wray alla Commissione di Giustizia dove i repubblicani hanno esposto serie accuse all’FBI senza però presentare prove. Difatti si trattava solo di dimostrare la loro sudditanza a Trump, suggerendo che un’indagine all’ex presidente consiste solo di strumentalizzazione del Dipartimento di Giustizia per ragioni politiche.

Nonostante gli assalti all’FBI come agenzia che supporta la sinistra la storia ci dice che si tratta proprio del contrario poiché dagli inizi fino ai nostri giorni l’agenzia è stata alleata delle forze politiche di destra. Fondata negli anni 20 l’FBI concentrò i suoi sforzi per combattere i comunisti, anarchici, ma anche gruppi di destra come il Ku Klux Klan e ovviamente il crimine organizzato, divenendo sempre più potente, specialmente sotto la guida di J. Edgar Hoover. Questi la diresse dal 1924 fino alla sua morte nel 1972 compilando dossier su individui considerati pericolosi come Martin Luther King ma anche su parecchi presidenti americani. Hoover conservò queste informazioni segrete come possibili strumenti di ricatto per mantenersi al potere poiché aveva paura di essere licenziato specialmente da presidenti democratici.

Dopo la sua morte Hoover fu sostituito da alcuni direttori temporanei e poi nel 2001 George W. Bush nominò Robert Mueller il quale vi rimase anche con Barack Obama fino al 2013. Fu seguito da James Comey, nominato da Obama. Trump lo licenziò nel 2017 perché Comey si rifiutò di porre fine alle indagini sull’interferenza russa nell’elezione del 2016, uno degli atti che gli valse l’accusa di ostruzione alla giustizia nel rapporto del procuratore speciale Robert Mueller sul Russiagate. Trump rimpiazzò Comey con Wray che continua tuttora anche con Biden. Da notare che tutti i direttori dell’FBI sono stati repubblicani.

Gli attacchi di Trump e dei repubblicani al Dipartimento di Giustizia e l’FBI consistono di una campagna di destabilizzare le istituzioni quando esse sono dirette da un esecutivo democratico. Sfortunatamente la leadership del Partito Repubblicano, specialmente alla Camera, ma molto meno al Senato, rimane in grande misura silenziosa, causando danni e mettendo in pericolo la democrazia. Gli americani continuano sempre più ad avere meno e meno fiducia nelle istituzioni, dalla credibilità ai risultati elettorali fino all’FBI che fino a poco tempo fa godeva di una certa rispettabilità. Un recente sondaggio della Nbc ci dice che solo il 37 percento degli americani ha una visione positiva dell’FBI, comparata al 2018 quando la cifra raggiungeva il 52 percento. La visione più negativa proviene dai repubblicani tra cui solo il 17 percento ha un visione positiva. D’altra parte fra gli elettori democratici il 58 percento ha una visione positiva.

Proprio al momento di scrivere siamo informati che Trump ha annunciato mediante Truth Social che ha ricevuto una comunicazione del procuratore speciale Jack Smith di essere bersaglio di un’indagine penale sugli eventi del 6 gennaio 2021 e di doversi presentare entro quattro giorni davanti a un gran giurì. Si tratterebbe di una potenziale terza incriminazione criminale oltre a quella di New York e l’altra in Florida. All’orizzonte c’è anche un’altra probabile incriminazione nello Stato di Georgia per l’interferenza di Trump sull’elezione del 2020 che potrebbe arrivare tra poche settimane.

Nei suoi messaggi su Truth Social Trump ha sempre caratterizzato le incriminazioni come “badge” di onore, considerandosi vittima di soprusi. Fino ad adesso i suoi sostenitori continuano a contribuire fondi e il loro supporto non dà impressioni di diminuire. Ciononostante bisogna domandarsi quante incriminazioni saranno necessarie finché capiscano che c’è del marcio e che Trump è una nave che eventualmente affonderà?


Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications. 

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