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Una icona tra sensualità e bellezza. Jean Birkin. La contrapposizione al maggio francese?
Pierfranco Bruni
Era la fine degli anni Sessanta. Forse un vento di contrasto sulle barricate del maggio francese. Si ascoltava «Je t’aime moi non plus». La canzone simbolo di una profonda sensualità, eros spinto fino a farlo diventare erotico amplesso attraverso i respiri, i sospiri, le parole trattenute con il fiato nel sogno. Jean Birkin. Era cantata con il suo compagno di quel tempo, cantautore, Serge Gainsbourg.
Una donna di una eleganza delicata, leggera, emozionante. Non solo nella vita ma anche nel cinema, nei concerti, nella moda. Ma fu quella canzone, allora proibitissima, a cambiare la musica con tocchi britannici e fascino francese. È la francesizzazione che prevale sul tutto. Come anche nel cinema. Diretta tra gli altri dal regista italiano Michelangelo Antonioni, ma lasciò un misterioso incanto nel film «La piscina» insieme ad un mito del cinema qual è Alen Delon.
La sua vita attraversata da profondi dolori come la morte della figlia. Il dolore per la sua malattia che la accompagnata per diversi anni. Era nata il 14 dicembre del 1946 nel Regno Unito a Marylebone e morta a Parigi il 16 luglio del 2023. Anglo-francese, ma la sua adozione parigina la forma alla cultura musicale e al linguaggio cinematografico. Madre, donna e personaggio dello spettacolo tout court ha impresso nel panorama dell’eleganza uno stile.
Perché è diventata un simbolo nell’epoca di Brigitte Bardot? Tutta la sua personalità viene trasportata negli avvenimenti che ha vissuto e in ciò che ha rappresentato. Persino la sofferenza. Dirà: «Sono ritornata a lavorare per superare la sofferenza». Gli amori, in parte, la salveranno. Ma sarà, sostanzialmente, l’ironia che la condurrà in una «leggerezza dell’essere» che non è vivere la vita con superficialità o negligenza. È, invece, saperla vivere nel tempo necessario tra la gioia e la consapevolezza. Oltre cento film realizzati e 20 dischi incisi.
Diversi incontri, una borsa della Hermes, che prende il suo nome, e l’infatuazione per un vestire sobrio nella bellezza fulminante del suo sguardo e del suo sorriso. Un look che non si dimentica. Ma quella sua «Je t’aime…» è un verseggiare ripetitivo che è rimasto una icona che rimanda alla poesia erotica catulliana e meridiana in un frammentazione di concetti che hanno nel fondo una allegorica contraddizione. «Ti amo, ti amo/oh sì ti amo!/nemmeno io./Oh come l’onda irresoluta/vado vado e vengo/tra i tuoi fianchi/e io/mi/trattengo». Un gioco ad incastro di parole tra trattengo, raggiungo, continua. Per poi recitare «l’amore fisico è senza uscita» e concludere con : «… adesso/continua!/vieni!/». Ritmo nella parola e musica nella voce.
Se non avessero strutturato la canzone sul cadenzare dei toni avrebbe avuto il successo che ha avuto? Certo, è un canto libero. Tanto libero che fa da sfondo a un non «engagement» di quel tempo ideologizzato.
Birkin resta un simbolo. Io vivo di simboli che hanno accompagnato la mia vita. Birkin è tale e resta tale per me. Sia per una giovinezza che non c’è più sia per quella bellezza che è nel mio immaginario.