Le minacce di Trump e la reazione del procuratore Smith di Domenjico Maceri

 

 

Le minacce di Trump e la reazione del procuratore Smith

Ho visto un cucciolo impaurito”. Ecco come Nancy Pelosi, democratica di San Francisco ed ex speaker della Camera, ha commentato l’aspetto di Donald Trump in un’intervista alla Msnbc il giorno dell’udienza in cui è stato incriminato per gli eventi del 6 gennaio 2021. “Non ho visto nessuna spavalderia né sicurezza”, ha continuato la Pelosi, asserendo anche che Trump è consapevole “di avere perso” e adesso deve fare i conti con la giustizia.

La risposta di Trump non si è fatta aspettare. L’ex presidente ha dichiarato sulla sua piattaforma Truth Social che la Pelosi ha detto una “cosa terribile”, negando di avere avuto paura, accusando l’ex speaker di essere una “strega malvagia” che un giorno brucerà “all’inferno”.

Dopo la comparizione in tribunale davanti alla magistrata Moxila Upadhyaya, incaricata delle procedure iniziali, Trump ha sferrato una valanga di insulti verso parecchi dei suoi “nemici”. Spiccano fra questi il suo ex ministro di Giustizia William Barr che non aveva condiviso i suoi sforzi di ribaltare l’elezione. Barr negli ultimi tempi è stato molto critico su Trump, prendendo le distanze dal suo ex capo in numerose interviste televisive. L’ex presidente ha anche attaccato con parole tipiche del suo linguaggio offensivo Mike Pence, il suo vice, che ha resistito alle sue sollecitazioni di bloccare la ratificazione di Joe Biden a presidente. Per le sue azioni ammirevoli, i riottosi del 6 gennaio, incitati da Trump, sono arrivati vicinissimi ad assalirlo e probabilmente ucciderlo dopo i tweet che annunciavano la mancata cooperazione.

Subito dopo il recente annuncio di incriminazione, il terzo per l’ex presidente, Pence ha espresso commenti neutrali senza attaccare il procuratore speciale come hanno fatto parecchi parlamentari repubblicani, grandi sostenitori di Trump. Pence infatti ha dichiarato che l’incriminazione puntualizza che “chiunque si ponga al di sopra della costituzione non dovrebbe mai divenire presidente degli Usa”, additando ovviamente il suo ex capo. Pence rappresenta inoltre un pericolo per il suo ex capo poiché lui è stato intervistato dal procuratore speciale. Il suo nome appare più di 90 volte nel documento di incriminazione e vengono anche citati gli appunti che Pence avrebbe preso in alcuni dei suoi incontri più accesi con Trump. Logico intravedere Pence come testimone contro il suo ex capo all’eventuale processo.

Confermando la sua rabbia, Trump ha annunciato una seria minaccia postando che “chiunque” lo attaccherà “la pagherà cara”. Non si sa esattamente a chi si dirigeva il messaggio ma la minaccia è stata interpretata in maniera seria da Jack Smith, il procuratore speciale. Questi ha chiesto alla giudice del processo Tanya Chutkan di imporre un ordine di protezione, non esattamente un bavaglio, ma un avvertimento per proteggere i magistrati, i testimoni, e i giurati che saranno coinvolti nel processo. Gli ordini di protezione sono abbastanza tipici anche perché prima che inizi il processo la procura deve condividere con la difesa informazioni ottenute nelle loro indagini. Smith è ovviamente preoccupato perché l’ex presidente è anche incriminato nel caso dei documenti top secret in Florida. Trump ha poco riguardo per i documenti riservati e si crede che lui non esiterebbe a rivelare nomi attaccandoli nella sua piattaforma. Trump, al di là di rinviare i processi il più tardi possibile, cerca anche di creare confusione nei suoi guai giudiziari anche per inquinare potenziali giurati. Va ricordato che la condanna ai processi criminali richiede l’unanimità dei 12 giurati. Persino un giurato che voti “no” sarebbe sufficiente a Trump per farla franca. La giudice ha accolto la richiesta di Smith e ha imposto una scadenza brevissima ai legali di Trump di rispondere. Alla risposta di rinviare il caso, la giudice ha reagito immediatamente rifiutando la richiesta.

Da candidato presidenziale e poi da presidente Trump ha frequentemente usato un linguaggio politico incendiario e offensivo sui suoi avversari e sui media che ha etichettato nemici del popolo. L’ha sempre fatta franca ma forse il troppo è troppo. Il procuratore Smith è stato anche lui bersagliato di tutti i vituperi possibili e immaginabili. L’ultimo messaggio però ha suonato il campanello d’allarme. Trump sa benissimo che i suoi attacchi sono ascoltati dai suoi sostenitori ma possono anche intimorire i suoi avversari. Smith si è preoccupato anche per il fatto che i membri dei giurati potrebbero essere intimiditi dagli attacchi di Trump poiché alcuni dei suoi sostenitori possono essere violenti.

Gli attacchi di Trump creano anche un clima di tensione per il personale della giustizia. Inoltre la pubblicità creata da Trump rende sempre più difficile la scelta dei giurati influenzando potenzialmente la loro obiettività. La questione dei giurati è anche una preoccupazione ma in realtà una scusa dei legali di Trump per ritardare il processo, aspettando un clima politico più favorevole. Già hanno dichiarato che a Washington D. C., i cui residenti hanno votato in stragrande maggioranza per Joe Biden, il loro assistito non potrebbe avere un processo neutrale. Ovviamente non hanno fatto la stessa obiezione nel processo dei documenti top secret che si terrà in Florida, stato conservatore, dove l’ex presidente risiede e che lui ha vinto sia nel 2016 che nel 2020.

Durante l’udienza con la giudice Moxila Upadhyaya a Washington Trump si è sentito umiliato perché la giudice si è diretta a lui con “Mr. Trump” invece di “President Trump” come spesso avviene anche con gli ex presidenti. Non ha subito però l’altra umiliazione della foto segnaletica tipica di tutti gli accusati. Nel caso dei suoi tentativi di ribaltare l’esito elettorale in Georgia, la cui probabile incriminazione dovrebbe avvenire tra breve, la procuratrice Fani Willis ha però indicato che la foto segnaletica sarà richiesta. Un altro tassello indicante le probabili sconfitte nel campo giudiziario. Se Trump sarà condannato nel processo a Washington, la cui data è da stabilire, potrebbe ricevere un massimo di 55 anni di carcere. Con ogni probabilità non andrebbe in carcere come avverrebbe con qualunque altro individuo e sconterebbe la sua pena ai domiciliari. A meno che non venga rieletto presidente nel 2024. In tale caso troverebbe la scappatoia e i suoi tanti avversari la pagherebbero cara, come ha minacciato.

Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

 

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