Il mare lega non separa mai. Questo mio mare Pierfranco Bruni

 

Il mare lega non separa mai. Questo mio mare
Pierfranco Bruni
Il tempo conduce le griglie dei ricordi in un labirinto di itinerari nella vita dell’esistere nella esistenza. I ricordi insistono tra le maglie del cuore,  il cui ricordare è vita esistita e ritorna ad essere esistenza.

Taranto è un pellegraggio. Una antropologia tra l’immatetiale e la materialità. Erano gli anni Settanta. La fine. Proprio la fine del Settanta. Arrivai a Taranto. Quasi spaesato ma giovanissimo. Con il sorriso della giovinezza. Taranto è stata nel mio viaggio. Una città è destino. Ricordo che mi venne incontro subito una palma. Il castello e le colonne. In quegli anni Taranto era bella. Ma bella. Sul concetto di bellezza recupero il senso dell’immaginario estetico,  fotografie che non dimentico e che restano dentro di me. Una città sovrana della Magna Grecia per le sue eredità e suoi tramonti di rosso sul mare. Per una identità che l’ha stretta alla sua memoria – madre.

Ero stato la prima volta a Taranto da ragazzino. Trascorrevo le estati con mio padre, mia madre e mia sorella a Trebisacce. E da  lì spesso raggiungevamo Taranto per un pranzo al famoso storico Gambero. Mitico per noi calabresi della sibaritide. Giulia, mia sorella, amava tanto Taranto. La  città che intreccia due mari. La città di un golfo che abbraccia tre regioni.  Ricordi immensi. Era bella Taranto. Poi mi portarono in gita scolastica, in terza media, a visitare il Museo archeologico.
Chi avrebbe potuto mai immaginare che, dopo alcuni, tanti, lustri, sarei finito a fare l’archeologo proprio alla Soprintendenza di Taranto, anzi della Puglia con sede, allora centrale, a Taranto. Ma fu anche la città di mio zio Mariano, il matematico, il quale vi ha trascorso diverse estati. Veniva chiamato spesso come presidente di commissione  per gli esami di maturità nei licei. Giungeva a Taranto da Cosenza.
Passano gli anni! Ma c’è di più. A 18 anni spaccati ho preso la patente. Con il mio gruppo di amici andammo, venimmo, a festeggiare proprio a Taranto questo grande evento.  Per me era proprio un grande evento. Arrivammo nel primo pomeriggio. Ai tempi della fiorente La Sem. Guidavo la 500 gialla L. Fatta Abarth. Fiammeggiante. La 500 di Giulia, con la quale la accompagnavo a scuola. Faceva la docente.
Che tempi in quel tempo. Taranto era la città ideale nel mio viaggio di viandante inquieto  in un ulissismo tra vento e maree. Quanti decenni ho abitato Taranto? In quanti modi mi ha attraversato Taranto? Se gli anni passano le città restano con i loro spazi e i luoghi. La città vecchia, in quella temperie in cui venni a Taranto, era vecchia abbastanza. Ora è antica. Scorci amabili sul porto in custodia di vele che danzano sulle onde. Danzano ancora quelle vele.
A pensarci ora: Taranto doveva rappresentare una città di passaggio. Eppure non sono mai realmente andato via. Tra partenze e ritorni e poi ripartenze è diventata una geografia dell’anima oltre la mia Calabria. Infatti sono rimasto più anni a Taranto che nella mia terra calabra che è sempre un cammino in fuga.
La Concattedrale mi viene incontro con la sua modernità pontiana. Viale Virgilio è un lungomare dannunziano. Viale Magna Grecia è il mio primo scavo archeologico. Via D’Aquino è una passeggiata tra librerie di un tempo sommerso e lo sguardo dritto sull’Arsenale. La Ringhiera è lo specchio di una grecità profonda.
Un tempo qui tutto era greco, disse Pavese arrivando a Brancaleone.
A Taranto è tutto antropologicamente magno greco con i versi di Raffaele Carrieri. L’impatto con le vetrine è uno specchio in cui Giacinto Spagnoletti ricordava il padre tra gli echi di Leonida e di Archita. Il tempo si consuma in un ferragosto di sole spaccato dalle correnti dei Due Mari. Tutto è riconducibile ad una architettura nella quale i segni sono diventati archetipi e il mito si respira come se fosse ieri.
Il Mediterraneo è un destino imprescindibile che porto nei miei passi tra il Ponte Girevole, che ha il nome del mio Santo paolano e il Ponte di Pietra, che è come un sigillo d’ingresso in una storia che racconta e si racconta nel cantico di San Cataldo. Qui il mare lega e non separa. Non separa mai il mare di Taranto. Il tempo è un attraversamento. Mio padre non c’è più. Mia madre non c’è più. Zio Mariano neppure. Giulia in un pomeriggio di febbraio li ha raggiunti.
Questo mare non separa.  Questo mare lega!

Deja una respuesta

Tu dirección de correo electrónico no será publicada. Los campos obligatorios están marcados con *