Bisogna restare in quell’attimo in cui il sublime tocca l’eros e quella rosa del deserto è vibrazione dell’istanza. La filosofia?

Pierfranco Bruni 

Bisogna restare in quell’attimo in cui il sublime tocca l’eros e quella rosa del deserto è vibrazione dell’istanza. La filosofia?

Pierfranco Bruni 

Chi potrà mai dare una risposta definitiva? Chi mai potrà fare una domanda conclusa? Ovvero una domanda che resti domanda senza tenta una finzione.

Darsi la morte non è cristiano. Ma non trova neppure una giustificazione nella ragione fenomenologica o in una fenomenologia della ragione? Forse in una ermeneutica del superamento dell’attesa troverebbe una irrazionale funzione? 

C’è una filosofia della vita e del superamento della vita. C’è uno spiritualità del destino e una corda sempre pronta appesa al chiodo dell’esistere. C’è una decadenza nella storia dell’uomo che non si sopporta più nel momento in cui il tempo diventa ruga impertinente nel giorno del crepuscolo della vita stessa. Quando ti accorci che non hai più età da raggiungere e tutte le età hanno superato il limite perché contrabbandare gli anni tra ciò che hai vissuto e ciò che resta? 

Un limite c’è anche nel non limite ed è qui che si raggiunge la non sopportazione. È un gioco infernale il pensiero. Ma poi è cos tanto drammatico raggiungere il tragico se non si ha la potenza e la volontà di decidere la propria morte? Usiamo Cristo a nostro piacimento senza conoscere l’esistenza del dopo morte. Bisogna immaginarla. 

Se tutte le vacche sono nere nella nera notte (ammesso che sia così) cosa ci resta? La volontà. Forse Nietzsche disegnò nella sua nascita della tragedia ciò che Cesare Pavese mise in atto. Non si tratta di intercettare simboli di depressione. Si tratta di comprendere più ragione di qualsiasi logica importanza nel corpus di una esistenza. 

La filosofia cosa può fare? Ciò che i demoni dostoevskijani intrappolano quello a cui pensiamo, ma non desideriamo, sono già vivi in von kleist e nella conoscenza del peggio del mio arcaico Manlio Sgalambro. Un paradosso misantropo tra il vivere e il morire che supera, comunque, ogni metafisica. 

Potrebbe essere ovvio rinchiudere in tale contesto la fenomenologia dell’atto finale salvabile con la metà della fisica del corpo cerebrale. La filosofia ha un corpo o solo una mente? Se è azione del pensiero, a sua volta il pensiero diventa agire. Pensiero e azione sono nel labirinto introvabili collegati? Direi di no. Soprattutto se impeto e azione rimarcano un romantico sentire la storia delle civiltà. 

Le civiltà nascono ed esplodono. Implodono e spariscono. Non si smarriscono. Spariscono. L’uomo è un nascere e uno sparire. Perché restare nell’attesa, dunque, della fine? Semplicemente per superbia, per paura, per ostinazione. Bisogna eliminare questi tre principi ragionevolmente umani. 

L’uomo deve decidersi. Non può lasciarsi decidere. Se comprende che tutto è inutile perché muore perché farsi dare la morte dalla natura e non sconfiggere la natura stessa facendo una scelta? Perché il timore e il tremore di Kierkegaard prende il sopravvento? Credo che Yukio Mishima, al di là della teatralità, avesse compreso il divario della maschera e del volto. Come nel gioco di Majakovskij che sfida se stesso. 

Siamo troppo conformisti nella terribilità della morte come Potenza della Volontà. Già, perché ogni suicidio è dato dalla depressione secondo il perbenismo occidentale. Non guardiamolo da questo spicchio di aglio. Sfogliamo lentamente una cipolla e ci si rende conto che i vari strati hanno una loro conformazione ben precisa, mai uguale. Ogni foglia di cipolla ha un disegno. Ogni immagine nel disegno ha una sua conformazione e una sua geografia le quali sono anima. 

La depressione è agonia. Ma la morte come scelta non facciamola sempre ricadere in un campo in cui la psicologia possa diventare psichiatria. Il viaggio ha la sua complessità lunare. Ogni uomo ha tredici lune alle quale deve poter dare una risposta. 

Lo sciamano sa raccontare bene questa alchimia delle lune che entrano nelle sette porte. Il filosofo no. Ha bisogno del pensiero. Non tutto può essere pensare il pensiero. Arriva all’improvviso una tempesta e il filosofo scende nel tragico. Lo sciamano no. Bisogna saper non conoscere soltanto. Ma percepire, intuire, catturare. 

Il morire per scelta o meno non è spiegabile. C’è un magico percorso dietro tutto questo che non ha necessità di spiegazioni. Il tempo ha una memoria individuale che intreccia il nodo di Gordio alla Caverna. Platone è logico? Il mago di Oz non certamente. Non si tratta di felicità o infelicità. 

Quando si abita la vita con la sola saggezza del sapere si corre il rischio di incontrare un cortocircuito. Bisogna restare in quell’attimo in cui il sublime tocca l’eros e quella rosa del deserto è vibrazione dell’istanza che sembra non avere tempo. Poi la vibrazione svanisce e resta soltanto il tempo. Tutto è scelta e tutto è destino. 

A cosa ci affidiamo? A cosa mi affido? Mi consegno ad una notte sul mare cedendo a quell’unica onda che vorrebbe trasportarmi su uno scoglio. Ci riuscirà? Con la filosofia è possibile. Con l’alchimia non so. La morte verrà ma vorrei che non arrivasse per fatto naturale. Vorrei poterla dominare. 

Lo sciamano un giorno mi ha raccontato che due amanti sono rimasti in vita fino a quando sono rimasti tali. Poi la morte è giunta e li ha rapiti. Non hanno saputo scegliere se morire di morte naturale o di morte altra. Cosa significa? L’ho chiesto alla luna e non al pensiero. La risposta? Bisogna avere la pazienza di aspettare. Quando tutte le vacche sono nere nella notte nera si può morire di malinconia e di noia.

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