La verità tragica

Il Kafka di Pierfranco Bruni apre un centenario tutto da leggere e da meditate con la verità tragica 

Marilena Cavallo

Una chiave di lettura che va oltre l’abitudinaria Interpretazione il nuovo lavoro di Pierfranco Bruni dedicato a Franz Kafka (Kafka. La  verità tragica) per i tipi di Solfanelli editore che si apre a  ventaglio sul rapporto tra letteratura e filosofia. Dietro si avverte immediatamente la maestria di uno scrittore che si confronta con il dato fenomenologico. Bisogna leggerlo. Necessariamente per capire la crisi e la decadenza dell’uomo del Novecento. Quali sono i punti centrali?
Kafka e l’enigma. L’incipit è fondamentale in questo viaggio tra pagina e vita di un libro in cui il racconto è non solo una lettura di Kafka, ma dell’autore attraverso l’opera dello scrittore che ha usato la verità e la metafora della metamorfosi. Pierfranco Bruni giunge a confrontarsi con Kafka dopo aver abitato il tragico e l’onirico che lega Ovidio a Nietzsche.
È su questi presupposti che si sviluppa un lavoro che intreccia rigorosamente letteratura e filosofia. La letteratura è nella sintesi dei personaggi. La filosofia è l’aggiunta di un percorso metafisico che porta sulla scena il pensare del pensiero. Un entrare, stanza dopo stanza, negli spazi di un Novecento europeo che usa il linguaggio di un mondo mitteleuropeo, nel quale il tema dell’assurdo sembra fondamentale. Ma accanto a tale problematica si avvertono i tracciati dell’assenza, della mancanza, del dubbio, dell’esilio.
Il contesto è proprio quello dell’esilio che fa dire a Pierfranco Bruni:
«Siamo tutti testimoni del rischio e protagonisti del dubbio. Mai dell’ovvio».
Rischio e dubbio pongono già una premessa intorno alla quale si intreccia la ricerca della non ovvietà. I personaggi di Kafka sono passione come lo sono quelli di Pierfranco sottolineati nei suoi romanzi.
Questo lavoro kafkiano non è da considerare come un saggio. Anzi soltanto come un saggio. Il narrato ha il presupposto di riconciliare Kafka con i personaggi che nascono da una avventura non solo letteraria, ma ermeneutica. L’ermeneutica può avere personaggi? È qui la non ovvietà. I personaggi sono (i) pensieri. Pascal è un insegnamento forte. Nietzsche è la magia di Zarathustra. Kierkegaard è il tremore che diventa agonia e destino. È un penetrare le onde del destino che Pierfranco, consapevole della lezione di Pavese, decodifica come il vento del mito e della nostalgia.
Due punti che intercettano, appunto, quell’esilio che vibra tra un capitolo e l’altro e che ci spinge verso le sponde di un onirico vissuto che si lascia ascoltare come meteora. Il corpus è nelle lettere a Milena che Pierfranco pone in forte evidenza raccontando una storia d’amore e di passione. Franz e Milena sono protagonisti di un destino.
Ma quanto di Pierfranco, oltre Kafka, c’è in questi capitoli? Un interrogativo forte, meraviglioso, e biografico. Il fatto che intercala brani di Kafka e su Kafka è una strategia che Bruni conosce bene proprio in virtù del fatto che il narrare cerca di uscire fuori da una verità biografica sempre sul filo metafisico per cedere il passo sia alla critica che a Kafka stesso.
Qui è il punto nevralgico di tutto. Si comincia con il narrare, fa una pausa con scritti brevi di Kafka, ritorna alla prosa narrante, una ulteriore pausa con scritti su Kafka, e si conclude con un completo modello narrante o narrativo. Il linguaggio è innovativo. È come nella sua poesia che la supera con il prosimetro. Si giunge a ciò dopo anni di lavoro, di sperimentazioni, di scavi tra forme linguistiche e modelli di una problematicità epistemologica e antropologica.
Nel suo finale senza conclusione c’è il resto.
C’è l’immersione totale nel mito. E Kafka? C’è sempre. È il Kafka di Pierfranco. In sintesi la lettura si trova in queste parole: «Gli dei morti che accanto e dentro hanno lo spazio della meditazione – contemplazione. Nietzsche è in Kafka. È una considerazione del divino ancestrale, è tra pagine che sfogliano altre pagine di esistenze vissute in una meta ontologia della conoscenza. Un labirintico e motivante disegno di esistenzialismo nella ribellione dei sentieri dell’uomo nei quali vibrano le ‘Considerazioni sul peccato, il dolore, la speranza e la vera via'».
Il processo che condanna l’uomo non è altro che il mettere in scena il desiderio che possiamo chiamare colpa? Ma possiamo realmente definire il desiderio come una colpa? Assolutamente no. Un vicolo didascalico che ci conduce «per una vita altra e una vita oltre». Questo Kafka di Pierfranco è un baule che racchiude ribellione e rivolta. Camus è di casa. Lo straniero viaggia verso l’isola e giunge all’esilio. Un viandante. Ma questo straniero non potrebbe essere identificato come lo stesso Pierfranco Bruni?
Un’opera importante che apre una nuova interpretazione dei romanzi di Kafka e l’amore resta il labirinto e il cerchio. Così parlò Pierfranco Bruni. Si potrebbe spingere oltre. Il Kafka di Pierfranco è un simbolico mosaico in cui gli echi e le voci giungono da un navigante che si trova spinto dalle onde omeriche verso il ritorno o verso le Colonne d’Ercole. Chissà?
Così Pierfranco ci provoca: “Chi vuole realmente capire ciò che ho cercato di dire, forse senza ovvietà, legga il libro. Sono disposto a mettere tutto in discussione in un’altra vita, in quella immortale che non conosce, a mio avviso bonario, accuse, colpe e procedimenti. Solo in questa vita sono ammessi gli avvisi di garanzia. Non è la bellezza che si consuma nel passaggio di un attimo. Siamo noi che ci illudiamo di poter fermare l’attimo in una eternità. Da qui le nostalgie si incavano nella vita”. Con questo saggio si apre il centenario kafkiano. Un anno kafkiano e Bruni anticipa.

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