Gigi Riva. Dietro quel numero 11 che nessuno potrà dimenticare il campione di una vita
Pierfranco Bruni
Non è soltanto un mito che se ne va. È il Mito che resta. Perché la vita è un attraversare epoche e generazioni. Gigi Riva resterà il Mito oltre una generazione perchè ha rappresentato la bellezza del calcio di un tempo e rappresenterà l’uomo nel campione e il campione nell’uomo. È legato al mio tempo piccolo, ovvero agli anni della mia era di ragazzo, di bimbo, di giovinetto.
L’uomo della coerenza. Il campione della coerenza. La sua Cagliari portata allo scudetto nel 1970. Lo stesso anno delle albe in Messico con una Italia Germania da cardiopalma, ancora nei miei occhi e nel cuore con i miei 15 anni, una finalissima con Italia Brasile che venne ricordata come la partita della mancata «staffetta» tra Mazzola e Rivera.
Una icona. Dunque Gigi Riva. Fu l’isola del calcio degli anni Sessanta e ancora oggi rimane tale. Non solo per la sua Sardegna che amò con tutto il suo essere, lui di nascita lombarda. Portò la Sardegna ad essere Campione d’Italia in una griglia simbolica che restituì all’intero Sud il primo sogno calcistico. Il Cagliari di Riva era la merafora del Sud.
Il 1970 fu il Sud tutto a vincere lo scudetto. Che emozione io noi ragazzi a rincorrere quel numero 11 sulla maglietta fatto cucire dalle nostre mamme. Tutti in nome suo ci sentivamo attaccanti. Un sogno che fu realtà. Era il tempo del bianco e nero.
E già, una memoria che è impressa nel diario di una esistenza. In quel rosa della «Gazzetta» fu il protagonista di una generazione. Poi lo vidi con i Ray-Ban scuri. Guardava il mare. Quel mare sardo e ogni onda si arrotolata da diventare in cerchio nella ragnatela della battigia.
Un campione. Certamente. Un calciatore unico. Sicuramente. Un goleador. Senza dubbio. Quello scudetto cucito sul rosso e blu significava tanto. Quell’azzurro della Nazionale testimoniata sul petto e sulle spalle una idea di rigoglioso orgoglio per una squadra che considerava il calcio una testimonianza identitaria.
Gigi Riva e la sua coerenza sono ancora uno specchio. Il pallone rotola ancora tra un lancio da metà campo e una semi rovesciata. Un urlo. Gol! Ricorderò sempre quel volto e quel piede sinistro. Quella maglietta che portava quel numero che nessuno di noi potrà dimenticare. Oltre un calcio al pallone c’è una generazione… In fondo dietro quel numero 11 che nessuno potrà dimenticare vivrà sempre il campione di una vita.