Pierfranco Bruni
Le celebrazioni del Centenario della sconparsa di Eleonora Duse aprono un confronto molto articolato non solo con la letteratura e con scrittrici come Matilde Serao, Gazia Deledda o Sibilla Aleramo, ma si avvia una riflessione con personaggi come Mata Hari, per l’eleganza del portamento, con Marta Abba, per i consigli che Eleonora diede alla «musa» di Pirandello e soprattutto con una eredità che ha trasmesso in modo diretto alla grande Greta Garbo.
Con il Progetto Undulna legato al Comitato Nazionale per il Centenario della morte di Eleonora Duse, Ministero della Cultura, si incontra l’altra Divina. Appunto Greta Garbo. La Divina di Francesca da Rimini abita nella Divina di Mata Hari. Il teatro e il cinema interagiscono proprio attraverso il concetto di Divino/Divina. La dea la diva la divina. Dove finisce un volto e dove si specchia l’altro? Forse non c’è mai la maschera usuale della rappresentazione perché è il personaggio che porta dentro di sé il tempo delle pause tra scena, retroscena e ribalta, ovvero tra campi lunghi e spazi corti.
Non solo tecnica. Ma la Divina è un’idea metafisica che si trasmette nell’immaginario in una pausa in un’attesa in uno sguardo oltre la regia. In Greta Garbo il tempo della «cine…» è l’occhio dentro l’obiettivo, in Eleonora Duse, nata nel 1858 a Vigevano e morta a Pittsburgh nel 1924, il tempo si misura proprio con la scena.
Le Divine sanno che lo sguardo e la gestualità sono oltre la parola e la fisicità è un linguaggio fondamentale. Greta prosegue ciò che Eleonora aveva costruito e affidato al cinema oltre che al teatro moderno. Greta, era nata nel 1905 a Stoccolma e morta nel 1990 a New York, rappresenta quella continuità dello sguardo, delle pose, del recitare muto nel primo cinema in bianco e nero e nel raccontare proprio con la gestualità.
I suoi primi film appartengono a quando Eleonora era ancora in vita e ricominciava le sue tournée. Il suo primo film risale al 1920. Nel 1924 porta nel cinema «I cavalieri di Ekubù». Mentre «La donna divina» è del 1928. Cinque anni dopo esce «Orchidea selvaggia».
Al 1931 appartiene «Mata Hari». Dal 1933 interpreta dei personaggi che certamente avrebbe voluto portare in teatro la Duse. Mi riferisco a «La regina Cristina», a «Anna Karenina» del 1935, a «Margherita Gauthier», a «Ninotchka» del 1939.
Agli inizi del 1940 abbandona la scena cinematografica. Aveva dato tutto. Pensava di aver dato tutto. L’artista che diventa la Divina. Dirà di sé: «Il mio talento ha dei limiti… non sono per niente un’attrice versatile». Ricorda tanto Eleonora o no?
Nel personaggio di Christina pronuncerà: «Per tutta la mia vita sono stata un simbolo. Un simbolo è eterno, immobile, un’astrazione. L’essere umano è mortale e mutevole, con desideri e impulsi, speranze e dolori. Sono stanca di essere un simbolo. Voglio essere un essere umano».
Quante similitudini intrecciano le due Divine. Ma la vita, anche quella dei personaggi, costituisce una rappresentazione costante.
Eleonora e Greta non sono soltanto una icona, un simbolo, un mito. Sono l’altro volto del reale che si manifesta anche a film finito o a teatro abbandonato.
Ancora oltre non c’è soltanto l’artista. C’è quell’archetipo nelle mani del destino. Come fu con l’unico fil che Eleonora interpretò nel 1916: «Cenere» dal romanzo di Grazia Deledda. Le Divine che amarono e che seppero dare ai personaggi non solo l’arte ma la bellezza del mito.
Con il Comitato Nazionale per le celebrazioni di Eleonora Duse, presieduto da Giordano Bruno Guerri, e con il Progetto Undulna teatro e e cinema si incontrano e le sensibilità si intrecciano tra ricerca, passione e emozione. Le due Divine sono nel nostro cammino.