di Giuseppe Arnò
È la domanda che ci poniamo in ogni epoca con una certa preoccupazione: il passato, si sa, è storia, ma il futuro è mistero! Dove andremo a finire è il titolo del libro di Alessandro Barbato, edito dalla Einaudi, in cui otto grandi intervistati tra i più autorevoli intellettuali italiani provano a raccontare ciò che il futuro ci riserva.
Un dubbio sempre più patologico
«Dove Andremo a Finire» è anche il titolo di uno dei «pensierini» in cui Umberto Eco, in forma stringata ed efficace nonché con l’usuale ironia che lo distingue, ci propone alcune domande relative al nostro futuro.
Per quanto riguarda il futuro, più indietro nel tempo, Epitteto, filosofo greco ed esponente dello stoicismo, asserisce che bisogna distinguere da ciò che dipende da noi ciò che non dipende da noi e suggerisce di non preoccuparci eccessivamente dell’incertezza che riguarda il futuro, così motivando: «Concentrarsi sul presente permette di affrontare le sfide una alla volta anziché soffrire per eventi che potrebbero o non potrebbero mai verificarsi».
E poi, lo scrittore Igor Sibaldi, nel «Libro delle epoche. Come non farsi intrappolare dalla civiltà occidentale», afferma che la civiltà è un organismo vivente, che si rinnova ciclicamente ad ogni 72 anni e che, se non faremo nulla di nuovo nell’attuale ciclo, sapremo di già cosa ci riserva il futuro: il déjà-vu. Possiamo quindi dedurre che, se riuscissimo a proporci nuove vie, il futuro sarebbe differente, seppur sempre ignoto.
In sostanza, dopo quanto esposto, il dubbio sugli arcani disegni dell’avvenire o su qualsiasi scelta che la vita ci presenta altro non è che la mancanza di certezza su ciò che sarà, su ciò che faremo, su dove andremo a finire. Al riguardo ci piace riportare una definizione tanto felice quanto espressiva dello scrittore comisano Gesualdo Bufalino, che così recita: «Il dubbio è una passerella che trema tra l’errore e la verità».
D’altra parte chi non conosce i dubbi e le paure di Dante, prima di attraversare le porte dell’Inferno, e quelli esistenziali dell’uomo occidentale, descritti da Nietzsche ne «La concezione del tempo»? E non dimentichiamoci dei filosofi del dubbio, da Platone a Sant’Agostino, del dubbio metodico [Cartesio n.d.r.], e via dicendo.
Questi sono solo alcuni riferimenti a generi letterari e a personaggi illustri, che citiamo per la loro notorietà, ma la considerazione, la domanda e perché no il dubbio, sia come passaggio obbligato per raggiungere la verità sia come interrogazione sul nostro futuro, ci assillano, come dicevamo sopra, da sempre e all’infinito.
«Ci sono uomini che vivono di certezze e non hanno mai dubbi: quelli non vivono, esistono». È quanto sostiene lo scrittore pietrasantese Romano Battaglia, e a buona ragione. Infatti, il dubitare è connaturato in noi e del pari si può dire dello sforzo di trovare delle ragionevoli risposte agli insorgenti dubbi.
Naturalmente il dubbio non deve trasformarsi in patologico ovvero nel dilemma che paralizza e che lascia una persona sperduta in un labirinto morale senza via d’uscita, nonché in disturbo ossessivo, compulsivo, dal momento in cui, anziché sfociare in una risposta, dà vita a nuove domande, a nuovi inquietanti quesiti. Esso deve mantenersi entro i limiti della ragionevolezza e non oltre.
Purtroppo, oggi vaneggiamo in una società dalla cultura e dai valori umani mistificati e non nella società conosciuta e vissuta da coloro i quali hanno raggiunto il traguardo dell’adultità. Altri tempi… quelli passati! Ormai, ahinoi, ci siamo ridotti a vivere in una generazione omologata di smartphone-dipendenti, di automi, i cui fini e mezzi stabiliti dal weberiano Ꞌagire socialeꞋ sono dettati da precetti di natura ideologica ed economicistica a cui è vietato disobbedire.
E non solo, se acconsentiamo a vivere sotto la dittatura del «politicamente corretto», sempre più impecoriti e appiattiti, non avremo più dubbi di sorta; non vivremo ma vegeteremo. E ciò sarà perché abbiamo permesso che il nostro pianeta si trasformasse in un mondo quasi alla rovescia e… questo è quanto.
Che fare?
Altro dubbio! Allora?
Delle due una: o ce la prendiamo comoda conformandoci al carpe diem di Epitteto, dal momento che, a suo dire, il futuro è un’incognita e non dipende da noi o, se invece riteniamo che esso dipenda in qualche modo da noi, dobbiamo darci da fare per cercare di gestirlo convenientemente.
In altre parole, anche se il futuro è inconoscibile, le decisioni che prendiamo oggi possono avere risvolti significativi non solamente sulla nostra vita di tutti i giorni, ma anche su quella di chi verrà dopo di noi.
Certamente, ribadiamo, il futuro è un’incognita, ma almeno, in certa misura, la realizzazione dei nostri progetti, dei nostri sogni, dipende dalle nostre scelte e da come agiamo.
Il sogno europeo
Eccolo il nostro sogno: vivere in pace; in un’Europa forte, coesa e rigogliosa, educata ai valori della solidarietà, precondizione della libertà e dell’eguaglianza; in un’Europa rispettata, modello democratico e barriera contro le velleità espansionistiche di chicchessia; in un´Europa che, riportandoci alle parole rivolte ai leader europei dal compianto presidente David Sassoli, innovi, protegga e illumini; e, infine, in un´Europa libera dall´ecolatria [il dio verde n.d.r.] , dai “puritani” dell’ambientalismo nonché dal burocratese amministrativo e soprattutto mentale.
Cerchiamo di essere migliori di quello che siamo; ci meritiamo di più e finché siamo in tempo! Eh già… la data della fine del mondo, per fortuna, non è stata azzeccata dai Maya, ma secondo l’esperto di storia dell’arte, Guido Carlucci, autore de «Il Codice da Vinci l’invisibile», Leonardo avrebbe previsto la fine del mondo nel 2025, data nascosta nelle pupille di Cristo nel dipinto «Salvador Mundi». Apocrifia? Lo speriamo vivamente!
Europa, ultima chiamata
Orbene, con tutto il rispetto per le capacità immaginative e per la fantasia scientifica di certi stimati studiosi, ritorniamo alla quotidianità, ricordando che siamo già prossimi alle elezioni e che gli elettori italiani sceglieranno 76 deputati per l’Europarlamento. Ciò stante, mettiamo al bando le sterili o inutili polemiche e le strumentalizzazioni politiche su Salis, su Toti, sul caso Bari, sul profumo di Fassino, sulla pittoresca espressione «[…] me la possono sucare» di Miccichè, sulla frase pronunciata di recente da Papa Francesco «Nei seminari c’è già troppa frociaggine» e via cantando e piuttosto occupiamoci, per una volta tanto e con la dovuta serietà, del nostro futuro, della nostra sopravvivenza!
Ammettiamolo pure, ormai abbiamo le tasche piene dei processi mediatici; della cronaca nera; della teledipendenza dai talk show politicizzati; delle inchieste scandalistiche in cui gli head hunter (cacciatori di teste), anziché la magistratura, si arrogano il compito di scoprire e giudicare i veri o supposti talenti del male; e della pochezza culturale, nonché manageriale dell’informazione.
È il momento giusto per sapere dove andremo a finire, almeno politicamente, e per fare in modo che il sogno diventi realtà. Suvvia, decidiamoci tanto che basti a conquistare democraticamente e con le giuste alleanze il potere al Parlamento europeo; questa volta sì, il futuro è nelle nostre mani!
Nel gergo calcistico si potrebbe dire che l’avversario [ad est n.d.r.] ci marca a zona e che perderemo la partita, se non prenderemo per tempo i comandi del treno ‘Europa’, ma tenteremo invano di rincorrerlo perché già partito. Bene, quest’ultimo caso potrebbe avverarsi solo se ci mancheranno istinto di conservazione, determinazione o audacia. E allora sì… vae victis (guai ai vinti)! Alla fine ce la saremmo cercata, no?
Giuseppe Arnò
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