La filosofia è destino. Accettare o meno non è questione di desiderio da Sgalambro alla verità dell’oltre

Pierfranco Bruni

«Non è il cammino che è difficile, è la difficoltà che è il cammino». Ci sottolinea Kierkegaard. Ma questo è destino. Prende l’uomo. Cattura la presenza e l’assenza dell’uomo. Non del tempo.
La filosofia è destino. Non un interrogativo. Ma un «imperativo» che coinvolge necessariamente l’uomo. L’uomo e il tempo dentro la verifica della ricerca d’infinito. Una ermeneutica del pensiero che non nascita spazio a alcuna risposta perché il fatto è anche di natura epistemologica. Ci sarà mai stato un ibrido tra epistemologica e metafisica. La metafisica è finita davanti al labirinto cruento delle macerie. È l’uomo moderno che crea macerie perché non ha saputo rispettare la tradizione. Nel momento in cui la metafisica di avvia alla morte ha smesso persino di restare in rivolta (Camus) e ha incontrato la barbarie, ovvero il «pessimo». Si può vivere in un «mondo pessimo»? Con la consapevolezza della solitudine come isola della misantropia. Siamo a Sgalambro».
La speranza non c’è più perché è venuta meno l’attesa. Anche se restiamo tutti dentro una apocalittica attesa. Dove ci porterà? Al tramontare dell’uomo della civiltà ma alla crudeltà del tempo.
Ciò che si vede dipende da come si guarda. Poiché l’osservare non è solo un ricevere, uno svelare, ma al tempo stesso un atto creativo», ancora Kierkegaard.

Ma come si attraversa Aristotele? Con un concetto che ci rimanda a  “Gli uomini malinconici sono tra tutti i più arguti”.
Il tempo, comunque, è tiranno. Fa tramontare l’uomo, ma lui, il tempo, è la durata dell’istante in istante anche dopo la morte dell’uomo.
Il filosofo che ha percepito il «mondo pessimo» non nella modernità ma come questa viene vissuta.
Il filosofo di Anatol che richiama il senso del tempo come brevità della vita.
Il filosofo che nella morte del sole ha ricostruito il tramontare tra Nietzsche e Cioran.
Il filosofo che ha attraversato il mito in una «fenomenologia» che è quella intagliata tra l’assurdo e il destino. Insomma una ricca meditazione che apre prospettive a un filosofare che va oltre la stessa storia della filosofia.
L’isola, il mare, l’intelletto, la grecità, Aristotele e Manlio Sgalambro per una Sophia del destino. Un viaggio indefinibile a volte o un indefinito viaggio.
Ma il rapporto tra viaggio e tempo è fondante anche all’interno di una visione di eresie e di eretico in solitudine. La lettura di Giordano Bruno non è assolutamente capziosam e l’isola con la sua dell’isola che rende misantropi è una lettura del limite come organizzazione di vita che va altre.
Cosa è l’oltre? Sgalambro accetterà mai il pensiero di Pascal quando afferma: «Ritengo che contro chiunque vorrebbe rinvenire nell’uomo la spiegazione dell’uomo stesso, l’uomo sia un problema la cui soluzione si trova soltanto in Dio». Direi di sì.
Il Dio di Pascal è una misura di eterno tra il mortale e l’immortale in Sgalambro perché accetta appunto raccoglie il destino come tempo dell’assurdo. Accetta il destino anche se è un assurdo. Ma se è tale la filosofia non può che essere destino perché è collegato alla miseria della non volontà.
Nietzsche si pone la stessa questione ma egli pone la visione della potenza come il cammino del al di là del bene e del male. Il destino è proprio questo? Le «cose invecchiano» ma l’uomo non è una cosa. È un pensiero e come tale trova nel destino il desiderio di non avere desideri. In fondo ritornando a Aristotele non si può essere convinti  che «Nel concepire un ideale possiamo presumere quel che vogliamo, ma dovremmo evitare le impossibilità».

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