Leonardo da Vinci a spasso per l’Abruzzo
di Gabriella Izzi Benedetti *
“Nessun effetto è in natura senza ragione. Intendi la ragione e non bisogna sperienza”
Leonardo da Vinci – “Codice Atlantico”
Se, come pare ormai accertato attraverso analisi e documentazioni, il più antico disegno a penna di Leonardo da Vinci, datato 5 agosto 1473, noto con la sigla 8P, attualmente presso il Museo degli Uffizi di Firenze, non rappresenta le colline del Chianti, ma il castello Piccolomini a Celano in Abruzzo, il lago del Fucino sottostante e le alture contigue, bisogna convenire che Leonardo, in un periodo giovanile, soggiornò nella Marsica. Non è il solo documento che ci porta sulle tracce di Leonardo in Abruzzo a più riprese; Leonardo è stato un instancabile viaggiatore, con un’attenzione capillare verso ogni mutamento della natura.
I nostri antichi amavano il viaggio pur con tutte le scomodità e i pericoli connessi; ed è del tutto normale in un’epoca in cui il viaggiare era una necessità di conoscenza diretta, la sola possibile; obbligatoria per chi si dedicava al commercio, essenziale per chi amava l’apprendimento, il sapere. In quanto a Leonardo la particolare orografia del territorio abruzzese con i suoi mutamenti climatici, la ricchezza e varietà di fauna e flora, sicuramente gli ha fornito suggestioni, interpretazioni traslocate nei disegni che ancora oggi si presentano come progetti pionieristici, studi scientifici, oltre che descrizioni paesaggistiche.
Non dimentichiamo poi che dal tredicesimo secolo fu massiccia la presenza toscana in Abruzzo, e già il nome Piccolomini ci dice qualcosa a riguardo. Le maggiori famiglie fiorentine fecero a gara per aggiudicarsi territori che si mostravano molto interessanti per qualità e quantità della lana, per ricchezza di pascoli, di patrimonio boschifero, di prodotti e realizzazioni di varia natura, come la cartiera, o gualchiera di Celano tra le più importanti d’Italia o la lavorazione della lana attraverso telai di particolare e quasi inaccessibile livello tecnico.
La via degli Abruzzi che collegava Firenze a Napoli, due capitali di rilievo nel panorama politico, attraversando Spoleto, L’Aquila, Sulmona, Roccaraso, Capua, per fare qualche nome, facilitava la relazione fra queste due realtà. Rilevante fu anche il rapporto commerciale fra l’Abruzzo e il ducato di Milano. E attraverso una serie di camminamenti, fra i quali la via Francigena, o quella che da Monte Sant’Angelo in Puglia arrivava a Mont Sant Michel in Francia e oltre, le vie della lana, una rete di contatti coinvolgeva anche la terra d’Abruzzo al resto dell’Europa.
Tra le motivazioni, specie per ciò che riguarda il ducato di Milano, la fama delle lane degli altipiani aquilani, ritenute le più pregiate sul mercato; veniva acquistata sia come materia prima, sia come prodotto finito, in panni e tessuti. La via degli Abruzzi che faceva da tramite era ritenuta tra le più sicure grazie alle tante fortificazioni esistenti in Abruzzo, con Torri d’avvistamento, Castelli, Fortilizi. Nella città dell’Aquila molti mercanti presero dimora o crearono dei veri e propri luoghi stabili di commercio: ne rimangono testimonianze attraverso la toponomastica; troviamo infatti via dei Veneziani, via dei Lombardi, via degli Alemanni e così via.
La transumanza abruzzese, la più importante, seconda solo alla Spagna, si avvaleva dei Tratturi regi o magni, strade erbose enormi, 111 metri e 11 cm esatti, il più importante dei quali partiva dall’Aquila per raggiungere a Foggia. E non era il solo, in Abruzzo se ne contavano cinque o sei, tra essi il tratturo Pescasseroli-Foggia.
Terminato il sodalizio con Ludovico il Moro duca di Milano, Leonardo era libero di andare dove più gli piacesse. I bozzetti da lui realizzati tra il 1498 e il 1501 periodo in cui si trattenne in Abruzzo, lo mostrano nuovamente prediligere le alture, le quote alte del Gran Sasso (ci sono disegni dello stesso periodo raffiguranti le balze collinari del Val d’Arno, di Volterra oltre al Gran Sasso, tutti luoghi d’altura), e questo non deve stupire in un uomo il cui sogno era quello di volare.
Il desiderio di creare una macchina volante accompagnò Leonardo per tutta la vita ed è normale immaginarlo alla ricerca ravvicinata di volatili tra i più grandi, come le aquile, dai quali carpire il segreto del volo, o calcolare la rapidità e l’angolatura di una discesa aerea con angolature, spazi di ritorno in quota. Quindi al di là di altre considerazioni, il fatto che l’Abruzzo possegga le vette più alte dell’Appennino è già motivo sufficiente per giustificare la sua presenza. Ma non è certo il solo.
Alla vigilia del viaggio, intorno al 1498, verso Sulmona in compagnia di un amico milanese Paolo Trivulzio, ricco mercante di stoffe che spesso scendeva negli Abruzzi per l’acquisto appunto di lane e tessuti, Leonardo scrisse “Volo conoscere questo paese che tiene tante cose a vederse”. Si riferiva a Sulmona che era luogo di importanza strategica per la transumanza suaccennata, per reperti archeologici, non molto distante dall’area fucense. La permanenza di Leonardo è sensibile fino al 1501.
Seguendo la sete di conoscenza che lo contraddistingueva, oltre Sulmona che comunque ritrasse, si spostò a Rocca Calascio, a L’Aquila e il territorio circostante fra cui Taranta Peligna, un centro all’avanguardia per la produzione delle coperte di lana e si interessò molto al funzionamento dei telai (pare che Trivulzio lo spingesse molto in questo senso) della cui tecnica si appropriò immediatamente. Trivulzio i cui interessi avevano carattere commerciale se ne tornò a Milano prima di Leonardo e, quasi certamente, fece riprodurre copia dei telai nel capoluogo lombardo.
Tant’è che subito dopo il viaggio di Leonardo i macchinari milanesi mostrarono grandi migliorie e le produzioni abruzzesi divennero meno appetibili sul mercato. Certo è che, per gratitudine?, Leonardo disegnò per i tessitori di Taranta Peligna coperte molto belle; il disegno di una di esse è conservato presso il Castello di Windsor a Londra. E non solo, sono presenti altri bozzetti presso la Royal Collection, sempre di proprietà dei reali d’Inghilterra.
Disegni che ritraggono Sulmona, il Morrone, la Maiella, il Gran Sasso, il profilo del Monte Prena, l’insellatura del Vado di Ferruccio e la gola dello Scoppaturo, un rilievo roccioso ricco di guglie che riporta al Corno Piccolo. Mentre nel Codice L della biblioteca dell’Istitute de France a Parigi, la figura contenuta nel codice D è quella di Rocca Calascio. Osservando l’immagine, si nota l’assenza delle torri cilindriche, e dunque il disegno risulta essere precedente alla costruzione della cinta rinascimentale; non è da escludere che essa sia frutto della capacità inventiva di Leonardo, che influì sul rinnovamento delle tecniche d’assedio di alcune fortificazioni abruzzesi.
Gli schizzi o bozzetti di Leonardo sono eseguiti su carta della gualchiera di Celano, una fabbrica in cui oltre alla follatura della lana che impermeabilizzava le tele infeltrendole, veniva lavorato il cotone con cui si fabbricava la carta e quella di Celano era tra le più importanti del medioevo; tutt’oggi esistente. In quel periodo i maestri cartai di Celano, del Vetoio dell’Aquila e di Sulmona erano molto rinomati in tutto il Regno di Napoli. La cartiera di Celano usava macchinari idrovori alimentati dall’enorme lago del Fucino.
La carta derivata dalla follatura del cotone e che diveniva ultra sottile, rigida e resistente, possedeva all’interno una filigrana che ne attestava l’autenticità. Ed è quella usata da Leonardo. Che non si limitò alla osservazione della natura e dei macchinari, ma intrattenne rapporti con personalità abruzzesi insigni come Giovan Battista Branconio e Serafino Aquilano, celebre musicista. Branconio orafo e protonotario apostolico fu un importante committente artistico, molto legato a Papa Leone X. Papa presso il quale Leonardo operò.
Leone X, figlio di Lorenzo de’ Medici e fratello di Giuliano duca di Nemours, aveva ai primi del ‘500 concesso al fratello la bonifica dell’agro pontino, a proprie spese. Il rapporto fra il Papa Leone X e Leonardo inizia nel 1514 ed è così che quest’ultimo realizza il progetto di prosciugamento delle paludi pontine per poter creare il porto di Civitavecchia. Anche questo progetto è conservato presso la Royal Library dei Windsor.
Secondo gli studiosi il progetto fu reso possibile grazie agli studi che Leonardo aveva fatto precedentemente riguardo alle tecniche per il prosciugamento del Fucino, lago in area avezzanese, il terzo per grandezza in Italia dopo i laghi di Garda e Maggiore. Il Fucino aveva creato problemi fin dall’antichità per una serie di situazioni legati a influssi e deflussi determinanti un livello di acque variabilissimo, in grado di creare danni ingenti ai paesi circostanti. Sicché Giulio Cesare, per primo, aveva dato inizio a un iter per attuarne il prosciugamento o un vero incanalamento.
Sappiamo che la sua morte bloccò l’opera, ma si impegnò a continuarla l’imperatore Claudio (da qui il nome, i Cunicoli di Claudio o claudiani) fra il 42 e il 52 d. C., scegliendo tecnici di altissimo livello sicché viene giudicata la più grande opera idraulica dell’antichità e certamente attrasse l’attenzione del genio ingegneristico del Rinascimento; si tratta di un canale sotterraneo con 6 cunicoli e 32 trentadue pozzi, lungo almeno 5 Km e mezzo. Lavoro di scavo durissimo se si pensa al terreno spesso roccioso. L’obiettivo era quello di prosciugare il lago, proteggere i paesi marsicani dalle esondazioni, rendere i terreni prosciugati coltivabili.
Purtroppo Nerone alla morte del padre, Claudio, non si interessò al mantenimento della funzionalità del progetto, i cunicoli presero a ostruirsi; in seguito se ne occupò Adriano; fra molte omissioni si arriva a quel personaggio straordinario che fu Federico II di Svevia che ridiede respiro all’opera. Ma per una soluzione effettiva e duratura bisogna attendere Alessandro Torlonia; parliamo del diciannovesimo secolo.
C’è un curioso e affascinante incrociarsi delle due situazioni, paludi pontine, lago del Fucino. Secondo gli esperti quando Leonardo si interessò alle tecniche legate alla progettazione del prosciugamento o incanalamento del Fucino, trasse conclusioni, varianti, migliorie che travasò in altro progetto, quello commissionatogli da papa Leone X: la bonifica delle paludi Pontine. Il progetto, realizzato da Leonardo nel 1514 è simile in maniera sorprendente alla tecnica usata per il Fucino.
Leonardo da Vinci realizzò in una carta geografica, datata 1514, una veduta a volo d’uccello delle paludi Pontine a penna, inchiostro ed acquerello, nell’intento di ottenere una visione d’insieme in grado di giovare al progetto che avrebbe dovuto essere realizzato attraverso canali e macchine idrovore. Con la morte di Leone X si bloccò l’opera, ma il piano di lavoro risultava talmente efficiente che non fu mai dimenticato. Di queste tecniche venne a conoscenza la famiglia Torlonia proprietaria dei territori fucensi e Alessandro Torlonia decise di usarle per il prosciugamento del Fucino.
Ci vollero ingentissime somme, ma i Torlonia avevano grazie al commercio, alla banca da loro fondata, a matrimoni sagacemente coordinati, titoli nobiliari acquisiti, oculatezza gestionale, accumulato una fortuna enorme. E Alessandro era un uomo testardo. Rimase famosa la sua frase: “O io prosciugo il Fucino o il Fucino prosciuga me”. Leonardo era morto da un pezzo, ma esiste un dettaglio che, oltre alla similitudine delle tecniche, fa riflettere. Infatti avrebbe poco senso, se non ci fosse questo legame, trovare ad Avezzano, all’ingresso di Villa Torlonia, sul soffitto, sopra l’affresco che rappresenta il castello di Celano e il lago del Fucino, tre ritratti: al centro Alessandro Torlonia, da un lato Giulio Cesare, dall’altro Leonardo da Vinci, cioè il primo ad aver avuto l’idea di prosciugare il lago, il mecenate, colui della cui tecnica ci si era serviti per riuscire nell’impresa.
Detto per inciso i principi Torlonia, proprietari della più vasta collezione privata di arte al mondo, hanno posseduto, in un ideale legame con il genio rinascimentale, una delle migliori copie della Monnalisa, attribuita a Berardino Luini, contemporaneo di Leonardo. Nel 1892 Giovanni Torlonia l’ha donata allo Stato italiano, e ora è esposta nella Sala Aldo Moro di Montecitorio.
Una continuità leonardiana, virtuale ma suggestiva è data dal Codice o manoscritto Lauri. La famiglia Lauri di Pescara conserva uno dei tre apografi del Trattato della Pittura di Leonardo da Vinci, realizzato anch’esso su carta di Celano, come suggerirebbe la filigrana della carta, unica in tutto il manoscritto che, in controluce, riporta lo stemma della città marsicana. Il Codice venne compilato da Francesco Melzi, figlio del conte palatino Girolamo, capitano della milizia milanese.
Francesco era uno degli allievi prediletti di Leonardo che lasciò Francesco erede “di tutti et ciascheduno li libri de edicto testatore ha de presente et altri strumenti et portracti circa l’arte sua et industria de pictori”. Si ritiene che il Melzi avesse concordato con il Maestro di riunire in un unico manoscritto (il codice urbinate 1270 della Biblioteca Apostolica Vaticana) il cosiddetto Trattato di pittura, un insieme di scritti e pensieri sparsi, annotazioni, teorie.
A sostegno della teoria che l’opera fosse conclusa o quasi nel 1498 non ci sono prove. Mentre di sicuro questa venne realizzata circa 20 anni dopo la morte di Leonardo. In seguito fu da Francesco donato a suo figlio Orazio, il primo di otto figli. Il viaggio alla scoperta delle tracce di Leonardo in Abruzzo è quanto mai affascinante. E potrebbe essere arricchito da ritrovamenti d’archivio non solo presenti in Abruzzo ma in Toscana, nel milanese e altrove, come la Francia, dove Leonardo soggiornò e morì nel 1519. Un viaggio nel viaggio che Leonardo ha intrapreso e che prosegue testardamente come la sua fama che scavalca i secoli.
*Presidente Società Vastese di Storia Patria