Di Domenico Maceri
“Lo Stato del Wisconsin non è né ‘red’ né ‘blue’ ma uno stato turchino”. Queste le parole di Tony Evers, governatore del Badger State, mentre lodava la nuova legge che disegnerà i nuovi confini dei distretti elettorali. Si eliminerebbe così il “gerrymandering”, un sistema di creare i limiti dei collegi elettorali per favorire un partito o l’altro eliminando l’esito scontato che il candidato vincente alle primarie avrà la meglio all’elezione generale.
Il Wisconsin era già uno Stato turchino, ossia in bilico, per quanto riguarda le elezioni presidenziali. Nel 2016 vinse Donald Trump mentre nel 2020 vinse Joe Biden, in ambedue casi con un margine inferiore all’uno percento. In effetti a livello presidenziale si tratta di un pareggio tra Partito Democratico e Repubblicano. Al livello Statale però i repubblicani dominano sia nella Camera (64 vs. 35) che al Senato (22 vs. 11). Il divario fra esiti per la presidenza e quelli statali si spiega in grandissima misura con i limiti dei collegi elettorali che i repubblicani avevano imposto in precedenza.
La nuova legge approvata dalle due Camere del Wisconsin con maggioranza repubblicana che renderà i collegi elettorali più competitivi dovrebbe colmare, anche se non completamente, lo strapotere dei repubblicani. Perché hanno accettato i legislatori repubblicani le nuove delineazioni dei collegi elettorali? Lo ha spiegato in modo colorito il senatore statale Van H. Wangaard dicendo che “i repubblicani erano tra l’incudine e il martello”. Wangaard ha continuato spiegando che non avevano scelta temendo molto peggio in futuro. Con l’elezione della giudice Janet C. Protasiewicz alla Corte Suprema statale l’anno scorso, come abbiamo scritto in queste pagine, i democratici hanno una maggioranza di 4-3. Quindi accettare la nuova legge sui collegi elettorali è stata la meno peggiore strada per i repubblicani.
La situazione del Wisconsin apporterà miglioramenti verso una democrazia più autentica ma nella stragrande maggioranza dei 50 Stati le legislature determinano i distretti elettorali. Fra questi 34 Stati usano la legislatura per i collegi statali mentre 39 di loro determinano anche i collegi dei rappresentanti alla Camera a Washington. I repubblicani sono leggermente il partito di minoranza, come si vede chiaramente dal voto popolare delle elezioni presidenziali. Anche quando Trump vinse nel 2016 per il meccanismo del Collegio Elettorale ricevette quasi tre milioni di voti in meno di Hillary Clinton. E nel 2020 Biden vinse sia al livello del Collegio Elettorale (306-232) ma ricevette anche 7 milioni di voti più di Trump (51%-46%, 81,282,916 vs 74,223,360).
I repubblicani controllano ambedue le camere statali in 27 dei cinquanta Stati e il Senato in ben 29. Riescono dunque a stabilire le regole per le elezioni per favorire il loro partito, delineando i confini dei distretti in modo da garantirsi successi alle urne. Negli Stati controllati da legislature democratiche avviene in grande misura la stessa cosa. Si è stabilito dunque un sistema poco democratico con un grosso divario tra il voto popolare ricevuto dai presidenti e il numero di legislatori. Il South Dakota, per esempio, un “red state” fu vinto da Trump con il 63 percento dei voti. Ciononostante i repubblicani rappresentano l’89 percento dei senatori statali e il 90% dei legislatori alla Camera. Nello Stato dell’Ohio si vede qualcosa di simile. Trump vinse con il 54 percento dei voti ma i seggi al Senato statale rappresentano il 79 percento.
Qualcosa di simile si nota anche negli Stati dominati dai democratici. Il Massachusetts, per esempio, fu vinto da Biden con il 67 percento dei voti ma i seggi al Senato Statale rappresentano il 92 percento.
La delineazione dei collegi elettorali è anche evidente al livello nazionale come ci dimostra il numero limitato di seggi dove l’esito è competitivo. Secondo il Cook Political Report all’elezione del 2024 solo 24 del totale di 435 seggi sono competitivi. In effetti, i due partiti si sono divisi i seggi in partenza: chi vince le primarie del partito nella stragrande maggioranza dei casi uscirà vittorioso a novembre. Ed è qui che Trump esercita il suo strapotere politico. Per vincere le primarie repubblicane dei seggi alla Camera è indispensabile l’endorsement dell’ex presidente senza il quale tante carriere politiche finiscono. Ne sa qualcosa Liz Cheney, la quale si è inimicata Trump, avendo votato per il suo impeachment nel 2021. La Cheney, era parlamentare del piccolo Stato del Wyoming e alle primarie repubblicane del 2022 fu sconfitta da Harriet Hageman, la quale aveva ricevuto l’endorsement di Trump. Lo stesso fenomeno occorre in grande misura con quasi tutti i parlamentari repubblicani. Inimicarsi Trump vuol dire rischiare la carriera politica.
Un minoranza degli Stati americani usa commissioni non-partisan nella delineazione dei collegi elettorali che li rendono più competitivi e quindi più democratici. Ma nessuno dei due partiti si interessa a seguire la stessa strada poiché significherebbe una riduzione delle loro chance di dividersi il potere non solo al livello statale ma anche al livello nazionale. Quando le elezioni sono competitive bisogna scegliere candidati che possano ottenere consensi degli elettori che non pendono né a destra né a sinistra. In questi casi il potere di Trump viene ridotto perché il principio fondamentale nelle scelte dell’ex presidente è l’assoluta fedeltà che spesso è insufficiente per vincere le elezioni. Ne sanno qualcosa Herschel Walker e Mehmet Oz, scelti da Trump nelle corse al Senato nell’elezione del 2022 negli Stati della Georgia e Pennsylvania rispettivamente. Ambedue furono sconfitti dai loro avversari democratici Raphael Warnock e John Fetterman. Anche Kari Lake, candidata a governatrice dell’Arizona nel 2022 fu sconfitta da Kate Hobbs, la candidata democratica. Adesso la Lake è candidata per il seggio al Senato dall’Arizona e si trova una decina di punti indietro dall’avversario democratico Ruben Gallego. Un’eccezione è stato JD Vance che ricevette l’endorsement di Trump per il Senato dallo Stato dell’Ohio e riuscì a sconfiggere il candidato democratico Tim Ryan. Vance fece carriera e Trump lo ha scelto come suo vice alla presidenza per la sua fedeltà. Al recentissimo dibattito con Tim Walz, il candidato alla vicepresidenza nel ticket con Kamala Harris, Vance non riuscì ad ammettere che Trump aveva perso l’elezione del 2020. La fedeltà al capo precede la verità e la democrazia.
Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.
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