Il coraggio della verità di Sgalambro è un viaggio nel crepuscolo dei pensieri.
Un convegno a Catania per celebrare il filosofo siculo greco nel Centenario della nascita
Pierfranco Bruni
Cosa è il coraggio della verità in Manlio Sgalambro? Si parlerà di ciò il prossimo 16 novembre a Catania con studiosi, docenti universitari, giornalisti e figure istituzionali in un convegno promosso dal Comitato Nazionale Celebrazioni Manlio Sgalambro del ministero della Cultura in collaborazione con il Comune di Catania e NaxosLegge.
Proprio in occasione del centenario della nascita del filosofo «asistematico» Manlio Sgalambro si aprirà un vasto dibattito sulla sua opera. Il coraggio della verità è il superamento del dubbio in una fenomenologia della certezza in cui il concetto di tempo supera la visione della storia come premessa di conoscenza.
La storia non è conoscenza. Piuttosto apprendimento delle cronache che dovrebbero fare la storia. Ma essa si dilata nella dimensione appunto del tempo che rivela il peggio e il pessimo delle civiltà. Siamo figli di un eredità ed eredi di una misantropia che scava nella consolazione dell’uomo alla deriva.
Dobbiamo prendere atto che le civiltà che esprimono cultura e civilizzazione, per dirla con Thomas Mann, sono il portato di una identità di tempo che si dilata nella memoria.
La verità ha bisogno di coraggio? Forse. Ma occorre la consapevolezza del coraggio e la coerenza della conoscenza. Perché senza conoscenza non si ha verità. La sola verità però non basta se non si crea il viaggio verso la certezza.
Tra la verità e la certezza ci sono i fenomeni e le forme. Ovvero una epistemologia che ci possa indicare quel viaggio che abita tra una appartenenza e una eredità. Anche per questo il mondo greco è una porta semi aperta tra l’Occidente e l’Oriente.
Gli dei di Sgalambro stanno ad Oriente o a Occidente? Domanda fertile per una risposta in contraddizione di solitudine. Il suo «accamparsi» nell’isola del pensiero lo rende il filosofo dell’isola. Una metafora che nasce da un luogo. Il luogo è geografia della coscienza. Anima e corpo sono la «rappresentazione» di una immanenza e di una fisicità. L’immaterialità del pensiero è solo un tempo perduto? O una perdita di tempo? Qui si gioca il viaggio.
Da Baudelaire a Cioran il pensare è un passaggio dal viaggio alle macerie del viaggio stesso che giunge tra le mani del tempo come un cumulo di rovine. E allora? Si ha bisogno di coraggio per darsi alla verità. Ma la sola verità non basta senza la metamorfosi della verità in certezza. Il pensare si inerpica tra gli scogli e le rocce inamovibili che hanno nel profondo un sottosuolo di esistenze.
L’uomo senza Omero dove potrà dirigersi? Verso Itaca o verso una Terra Promessa? Più che la religione può l’antropologia? Entrambi sembrano rivelarsi il più delle volte come teologia. Ciò che interessa comunque è sentirsi «chierici». Pellegrini nel deserto. Ma la filosofia di Sgalambro non è forse un essere viandante tra i segreti e i misteri della parola che tutto può e nulla offre se non la consolazione che la morte finisce nel momento stesso in cui la morte non è più?
Se la morte non è più il tempo è. Se la morte muore con noi morenti e finiti il tempo non finisce e l’invito al viaggio è un permanere in quel coraggio che chiede alla verità di farsi certezza. Andare oltre è sfidare gli dei. L’uomo rischierebbe l’impossibile e dell’impossibile ha timore perché il tremore dell’angoscia occuperebbe lo spazio del vivere.
È più necessario vivere o è più necessario il coraggio della verità? La domanda resta e l’incompiutezza è una certezza che non invecchia perché è la morte che decide sul Tutto. Il Cioran del «crepuscolo dei pensieri» è una sintesi ineluttabile anche in Sgalambro.