Oltre la fragilità della leggerezza e della modernità l’insegnamento di Augusto Del Noce nel «pensiero inattuale» di Luciano Lanna

Pierfranco Bruni 

Era il 1989. Sindacato Libero Scrittori italiani. Roma. Un anno importante. Straordinario per il Sindacato.  Ricordo benissimo. Bisognava eleggere il presidente. Ci fu un grande dibattito e le tesi erano propriamente letterarie da una parte e filosofiche dall’altra. Ancora insistevano le metodologie separate. Si crearono addirittura due schieramenti. Ma alla fine prevalse sostanzialmente la visione piuttosto comparata. Si erano formati due gruppi. Il gruppo di Francesco Grisi e quello sempre contrapposto di Francesco Mercadante. Ovvero Vittorio Enzo Alfieri con Grisi e dall’altro versante Augusto Del Noce, scomparso proprio nel 1989 il 30 dicembre, era nato nel 1910. 

Ma forse non è giusto neppure dire ciò. Perché Augusto Del Noce era molto amico di Francesco Grisi, (in foto insieme) direi intimo, tant’è che in molte occasioni erano sempre insieme al sindacato insieme a un altro amico storico Tommaso Romano che volle premiarlo a Palermo al Premio Mircea Eliade due anni prima (1987) con un intervento omaggio proprio di Grisi. 

Augusto Del Noce è stata una presenza attiva tra gli scrittori del Sindacato di quegli anni. Addirittura diede un contributo notevole quando ci fu la scissione del 1970. Perché ora questo discutere su Augusto Del Noce? Perché è stato pubblicato un libro notevole che ripercorre il suo pensiero e i suoi scritti proprio nella visione di una «rivoluzione culturale» e richiama noi tutti a una seria riflessione. 

Luciano Lanna ha pubblicato un libro importante e che a mio avviso resta nella visione critica del filosofo e politologo Del Noce:  «Attraversare la modernità. Il pensiero inattuale di Augusto Del Noce», Cantagalli editore con una prefazione di Giacomo Marramao. Lanna pone in evidenza la sua contestualità e il vuoto che ha lasciato nella dialettica di un intreccio fondamentale tra filosofia e politica. Anzi tra «realismo» cattolico e umanesimo della politica. 

Una attenzione suggestiva in una monografia articolata il cui concetto di base potrebbe essere anche una osservazione dello stesso Del Noce del 1985 quando ebbe a scrivere: «… I cattolici hanno un vizio maledetto: pensare alla forza della modernità e ignorare come questa modernità, nei limiti in cui pensa di voler negare la trascendenza religiosa, attraversi oggi la sua massima crisi, riconosciuta anche da certi scrittori laici». Il richiamo alla tradizione è fondante. Lo era in quegli anni. 

Lo è tuttora. Oltre la tradizione cosa c’è? La modernità? Lanna entra delicatamente in questo campo e ne sottolinea i principì. Era anche sostanzialmente il nostro discutere in quella temperie di dibattito nel Sindacato Libero Scrittori grazie infatti alla sua presenza. 

Gli anni del «cattolico comunista» furono anni fecondi in una frequentazione di un linguaggio tra politica e cultura. Il pensiero comunque andava oltre ogni prassi. E i suoi scritti postumi sono una testimonianza emblematica. Penso al suo Gentile,  penso al suo percorso da Cartesio a Rosmini, con radici che partono da Dante, penso alle sue pagine su Rensi, penso ai suoi scritti sulla chiesa e in particolare a quelli su Giovanni Paolo II. Il tutto già annunciato nel suo «Secolarizzazione e crisi della modernità» apparsa nell’anno della sua morte. 

Il problema, come dice Lanna, si pone tuttora anche perché alla base c’è una osservazione forte nella quale si sottolinea: 

<<Piuttosto che di ateismo, si ripete, si dovrebbe parlare di indifferenza. E si dice cosa giustissima, ma anche che abbisogna di essere interpretata. Indifferenza, secondo il giudizio corrente, è cosa meno grave di ateismo: quando si sta bene, si pensa poco a Dio; ci si pensa poco ma non lo si nega. Il gusto dei beni sensibili porta a un oblio provvisorio del pensiero di Dio che, col suo allungarsi nel tempo, prende l’aspetto di indifferenza. Ma l’indifferenza di oggi ha carattere del tutto diverso: significa che Dio non interessa. i problemi sociali, politici, morali, estetici possono essere risolti senza il minimo riferimento a Dio; fare intervenire Dio al loro riguardo è introdurre la dimensione ideologica, è “turbare la pace”. Non è questo in fondo anche il pensiero di molti cattolici impegnati nella politica? A essi pare che un progresso ci sia stato; all’ateismo virulento del pensiero rivoluzionario si è sostituita l’indifferenza. E qui lo sbaglio è completo. Ma c’è di più, nei caratteri dell’irreligione contemporanea. Si direbbe che l’ateismo percorra un circolo; dall’ateismo della fine del Rinascimento e dei secoli XVII e XVIII si era passati all’ateismo rivoluzionario; ora si è tornati all’ateismo del tipo libertino. Si prenda un qualsiasi libro – la letteratura è assai vasta – sul pensiero libertino del ‘600, da quello eretico a quello di costume, e ci si accorge che gli argomenti e il linguaggio della maggior parte della pubblicistica laica e della letteratura corrente ne sono la ripetizione; si è stupiti dalla quasi identità. Quasi, perché una differenza c’è ed è essenziale. Il libertinismo aristocratico di allora considerava la religione “buona per il popolo”; era una scuola di rassegnazione che lo teneva quieto. Nella dimensione odierna, nel diffuso benessere, il libertinismo è chiamato ad assolvere una funzione analoga a quella che una volta aveva la religione. Si direbbe che per una certa coscienza laica, diffusa e ad alto livello, democrazia abbia il significato di estensione del modo di pensare libertino alle masse>>. Uno scritto che risale al 1986. 

Lesse e interpretò Dante, nei suoi numerosi saggi, compresa l’interpretazione della «Monarchia», che aprirono una via profonda rispetto alla storicistica del dantesco di Gilson, attraverso considerazioni come questa chiosa: «L’originalità di Dante non sta tanto nell’affermazione dell’autonomia dello Stato, ma nella ragione religiosa per cui viene affermata. Questa è la via per l’asserzione della religiosità della politica e del senso religioso della laicità». 

Oppure con questa cesellatura: «…l’idea fondamentale di Dante non è la rivendicazione del potere laicale. L’idea è che la lotta contro la cupiditas implica la dualità dei rimedi». Insomma credo che il testo di Lanna apre una discussione a tutto tondo sì sulla modernità della crisi ma soprattutto sulla necessità di ripensare a Augusto Del Noce in questo nostro tempo «pessimo» direbbe Manlio Sgalambro e attraversato dal «crepuscoli dei pensieri» (Cioran). 

Ma Augusto Del Noce ha sempre letto con lungimiranza le crisi: «…prima condizione perché l’eclissi [dei valori tradizionali] abbia termine è che la Chiesa riprenda la sua funzione che non è di adeguarsi al mondo, ma di contestarlo». Il lavoro di Luciano Lanna è un testo riferimento otre la fragilità della leggerezza. Un concetto forte da tenere in considerazione.

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