Marilena Cavallo
Il 9 dicembre prossimo sono cento anni dalla nascita del filosofo Manlio Sgalambro. Un filosofo che scava in quel l’intreccio tra ragione e esistenza.
Bene ha fatto il Ministero della Cultura a istituire un Comitato nazionale per celebrare una personalità che ha attraversato tutto il Novecento culturale. Ha posto diversi interrogativi. Il Comitato del Mic ha già sviluppato diverse attività tra convegni, incontri e pubblicazioni. Un percorso che sta interessando non solo la Sicilia, Sgalambro era infatti nato proprio in Sicilia, a Lentini, e morto a Catania il 6 marzo del 2014, ma la Calabria, con più incontri, la Puglia dove è previsto un convegno il 10 gennaio del 2025 e Roma entro febbraio.
È previsto una nuova pubblicazione per gennaio prossimo e la pubblicazione degli Atti dei convegni. Ma cosa ci lascia Sgalambro? O meglio in Manlio Sgalambro la metafisica può essere empirica? Una epistemologia che riguarda chiaramente l’uomo ma è un uomo non solo contemporaneo o moderno. È l’uomo storico che ha bisogno del mito. Un siculo greco si porta cucito nei pensieri l’isola con tutta la sua geografia isolana ma anche con le voci di un mediterraneo che diventano espressione tra Epicuro e Talete.
Ma cosa è questo viaggio nella filosofia di Sgalambro?
È certo che il “marasma” eclettico aristotelico ha un sopravvento distonico soprattutto quando campeggiano quelle macerie che sembrano essere il sottosuolo di Dostoevskij. Con Dostoevskij primeggiano le rovine dell’anima.
Macerie e rovine potrebbero essere comparazioni ma sono appunto distonie. Cosa primeggia?
Il pensiero o l’idea del pensiero? Entrambi si raccontano tra un uso del “Trattato” e un un uso della “Teoria”. Un imprimatur ha il senso di rivolta. Senza di esso non ci sarebbero le considerazioni sul mondo pessimo. Qui recupera Camus. Non ci sono dubbi.
Per recuperare Camus comunque si allontana completamente da Hegel perché si allontana di ciò che era stato Voltaire. Attraversa la “sana civiltà” di Rousseau per edificare un richiamo vichiano non dei contrari kantiani ma della ciclicità della volontà di potenza. È come se lanciasse un dardo nella tragedia greca raccogliendo la “gai scienza” di Nietzsche. Ha vissuto Nietzsche superando la “ragione della critica pura”? Possibile chiarirlo soltanto con la poesia. Non c’è poetica alcuna se non con il viaggio.
Non bisogna cercare. Bisogna essere trovare. Un antico dilemma che è nel Viaggio non delle Civiltà soltanto bensì dell’uomo. L’uomo non è moderno e tanto meno contemporaneo. L’unico uomo possibile è quello greco?
Ritorna a Gorgia? Forse anche a Platone. Ovvero alla forestazione della caverna. In tale contesto l’uomo prende consapevolezza che porta nel cuore la consolazione della misantropia. La morte del sole è una metafora lunga fino a quando il sole non troverà l’alba. Ma in mezzo c’è Vico? La morte è per sempre. Ma il sempre è l’eterno o soltanto ciò che può avvertirci che il finito è un infinito e viceversa?
Cercare di dare una risposta non sta nella filosofia di Sgalambro. La vita è moritura. Ma la morte muore davvero? Il paradosso è una verità non cercata. Purtroppo neppure trovata.
Sgalambro apre un intaglio nel concetto di eternità finita. Perché finisce tutto? Perché è un fatto naturale? O perché è così deciso dal destino. Il dilemma tra filosofia e destino è il tragico del pensiero che muore nel deciso.
I suoi libri sono il rovescio ma anche il dritto, per dirla proprio con Camus. A cosa affidarsi? Non credo di trovare risposte. Se si apre una porta non si saprà mai cosa ci aspetterà. La filosofia di Sgalambro essendo non sistematica presenta una lettura comparata. Infatti gli obiettivi del Comitato, per ciò che ho potuto constatare, vanno proprio verso questo obiettivo. I prossimi appuntamenti ci daranno la conferma di ciò. Incontri istituzionali filosofici di alto livello.