Come un miserabile e buon gatto

Pasolini e la preghiera del disincanto

“Padre nostro che sei nei Cieli… Che me ne faccio della buona reputazione?”– Pier Paolo Pasolini 

La poesia originale

Pier Paolo Pasolini – Padre nostro che sei nei Cieli…
(da La religione del mio tempo, 1961)

Padre nostro che sei nei Cieli,
io non sono mai stato ridicolo in tutta la vita.
Ho sempre avuto negli occhi un velo d’ironia.

Padre nostro che sei nei Cieli:
ecco un tuo figlio che, in terra, è padre…
È a terra, non si difende più…
Se tu lo interroghi, egli è pronto a risponderti.

È loquace. Come quelli che hanno appena avuto
una disgrazia e sono abituati alle disgrazie.

Anzi, ha bisogno, lui, di parlare:
tanto che ti parla anche se tu non lo interroghi.
Quanta inutile buona educazione!

Non sono mai stato maleducato una volta nella mia vita.
Avevo il tratto staccato dalle cose, e sapevo tacere.
Per difendermi, dopo l’ironia, avevo il silenzio.

Padre nostro che sei nei Cieli:
sono diventato padre, e il grigio degli alberi
sfioriti, e ormai senza frutti,
il grigio delle eclissi, per mano tua mi ha sempre difeso.

Mi ha difeso dallo scandalo, dal dare in pasto
agli altri il mio potere perduto.
Infatti, Dio, io non ho mai dato l’ombra di uno scandalo.

Ero protetto dal mio possedere e dall’esperienza
del possedere, che mi rendeva, appunto,
ironico, silenzioso e infine inattaccabile come mio padre.

Ora tu mi hai lasciato.
Ah, ah, lo so ben io cosa ho sognato
quel maledetto pomeriggio! Ho sognato Te.
Ecco perché è cambiata la mia vita.

E allora, poiché Ti ho,
che me ne faccio della paura del ridicolo?
I miei occhi sono divenuti due buffi e nudi
lampioni del mio deserto e della mia miseria.

Padre nostro che sei nei Cieli!
Che me ne faccio della mia buona educazione?
Chiacchiererò con Te come una vecchia, o un povero
operaio che viene dalla campagna, reso quasi nudo
dalla coscienza dei quattro soldi che guadagna
e che dà subito alla moglie – restando, lui, squattrinato,
come un ragazzo, malgrado le sue tempie grigie
e i calzoni larghi e grigi delle persone anziane…

Chiacchiererò con la mancanza di pudore
della gente inferiore, che Ti è tanto cara.
Sei contento? Ti confido il mio dolore;
e sto qui a aspettare la tua risposta
come un miserabile e buon gatto aspetta
gli avanzi, sotto il tavolo: Ti guardo, Ti guardo fisso,
come un bambino imbambolato e senza dignità.

La buona reputazione, ah, ah!
Padre nostro che sei nei Cieli,
cosa me ne faccio della buona reputazione, e del destino
– che sembrava tutt’uno col mio corpo e il mio tratto –
di non fare per nessuna ragione al mondo parlare di me?
Che me ne faccio di questa persona
così ben difesa contro gli imprevisti?

Riflessioni

In questa poesia, una delle più intense della raccolta La religione del mio tempo (1961), Pasolini ci mostra la preghiera non come un atto di fede ordinata, ma come un’invocazione disperata, che nasce dalla solitudine e dalla spoliazione. Non è la preghiera di un credente tradizionale, ma di un uomo che ha perso le sue difese, che non si rifugia più nell’ironia né nel silenzio, ma sceglie di parlare a Dio con la voce nuda della miseria.

L’autore si rivolge a Dio non dall’alto del pulpito o della cultura, ma come un “gatto buono”, un uomo semplice, derelitto, affamato di risposta. Rinuncia alla sua “buona reputazione”, all’immagine costruita e contenuta. Ciò che resta è l’anima svelata, che parla senza vergogna. È qui che la poesia tocca la sua vetta: nel momento in cui l’uomo abbandona ogni maschera e, come un bambino, guarda Dio fisso, senza più difese.

Questa tensione tra sacro e umano è la stessa che attraversa Il Vangelo secondo Matteo (1964), il film più profondamente religioso di Pasolini. In esso, la figura di Cristo non è trasfigurata, ma incarnata. Gesù è giovane, ribelle, povero, circondato da contadini, madri, storpi, pescatori. Non c’è oro né incenso, solo polvere, vento e pietra. La religiosità che Pasolini mette in scena è simile a quella della poesia: non è teologica, ma vissuta, fisica, fatta di fame e sete, di corpi e lacrime.

Nel film come nella poesia, Dio non è un’idea: è un interlocutore. E la preghiera non è una formula, ma un grido umano. La fede, per Pasolini, non è mai dogma: è dolore e desiderio, domanda lanciata nel vuoto. È per questo che la sua spiritualità ci parla ancora oggi, forse più che mai.

Poesia ispirata a Pasolini

“Come un gatto buono”

Ti parlo, Dio, con mani vuote,
non ho più il gesto elegante di chi sa aspettare.
Ho perduto la voce educata del figlio,
ho solo questa gola bucata che balbetta il Tuo nome.

Se mi guardi, non scorgi più l’uomo sicuro:
vedrai la polvere nei miei occhi,
e la fame che sale, come un pianto,
dagli spigoli rotti dell’anima.

Mi hai trovato solo ora, che non so più fingere,
ora che il mio pudore è un cencio al vento,
ora che mi siedo a mendicare risposte
sotto il Tuo tavolo eterno, come un gatto buono.

E se Ti commuove la mia voce sgraziata,
non darmi una lezione: dammi da bere.
Io sono ancora tuo, anche se ho disimparato a credere.
E resto qui, con la mia vergogna piena d’amore. 

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