Siria, la terra che piange in silenzio

Carlo Di Stanislao

«L’inferno è vuoto, tutti i diavoli sono qui.» – William Shakespeare

C’è una terra dove il silenzio pesa più delle bombe. Dove la sabbia non è più sabbia, ma cenere. Dove l’odore del sangue è penetrato nella pietra, nel legno, nei corpi. È la Siria. Una terra che non ha più lacrime, perché le ha già versate tutte.

Si dice che la guerra sia finita. Ma cosa significa “fine”, quando la morte continua a bussare alle porte, ogni giorno, ogni notte? Quando gli assassini non indossano più divise, ma maschere. Quando la vendetta prende il posto della giustizia e si traveste da rivalsa.

In Siria, i numeri delle vittime sono sempre una menzogna. Non per malafede, ma per impotenza. Perché nessuno riesce più a contare. Perché i corpi vengono sepolti sotto le macerie o gettati nei canali. Mezzo milione di morti, si dice. Ma è un numero vecchio, logoro, lasciato lì come una pietra tombale su cui nessuno si inginocchia più.

E intanto, la carneficina continua.

Secondo uno studio recente, che ilGiornale ha potuto visionare, solo negli ultimi mesi si sono verificati 25 massacri. Non episodi isolati, non omicidi casuali, ma vere e proprie esecuzioni di massa. Le vittime sono almeno 2.246 alawiti. Un numero che pesa ancora di più perché porta con sé un messaggio chiaro: l’odio settario non è finito. È mutato. È diventato più spietato, più raffinato, più crudele.

Gli alawiti – la minoranza a cui appartiene il presidente Bashar al Assad – vengono presi di mira con una ferocia che non conosce limiti. Vengono prelevati mentre tornano a casa, mentre portano i figli a scuola, mentre camminano per strada. I video che li ritraggono – più di 800 – sono troppo atroci per essere mostrati. Ma sono lì. Esistono. Mostrano corpi legati, torturati, massacrati. Volti ridotti a maschere di sangue. Grida strozzate da mani sporche di odio.

Dietro tutto questo c’è un nome: Hayat Tahrir al Sham, l’ex Al Qaeda siriana. Comandata da Ahmad al-Shara, noto come Al Jolani, ha fatto della vendetta il proprio credo. Una vendetta cieca, rabbiosa, che non distingue più tra colpevoli e innocenti. Non si limita a colpire uomini armati, ma mira alle famiglie, agli anziani, ai bambini. Alle donne incinte.

Amnesty International parla di crimini di guerra. Ma è una voce nel vuoto. Una voce che rimbalza contro le pareti di un mondo sordo. Perché oggi la Siria non fa più notizia. È passata di moda. È stata archiviata. E così le sue vittime continuano a morire due volte: la prima per mano dei carnefici, la seconda per l’indifferenza di chi potrebbe almeno ascoltare.

I racconti raccolti sono di una brutalità quasi irreale. “Ho sentito un uomo armato chiedere a mio fratello se fosse alawita o sunnita. Poi ho sentito mia madre urlare. Ho aspettato prima di scendere le scale… e ho visto i loro corpi”. Parole semplici, ma che fanno tremare il cuore. Parole che raccontano l’ultima alba di un padre di 75 anni, professore di inglese, e dei suoi figli, un avvocato e uno studioso di letteratura. Mai armati, mai coinvolti nella guerra. Ma colpevoli, agli occhi dei loro carnefici, di appartenere alla “parte sbagliata”.

E poi ci sono le donne. Quelle incinte, che dovrebbero essere il simbolo della vita, vengono sventrate senza pietà. I loro corpi ritrovati ai margini delle strade, o spariti nel nulla per non tornare mai più. Intere famiglie che scompaiono, come se non fossero mai esistite. Cancelli chiusi per sempre. Stanze vuote. Letti che nessuno rifarà.

A Homs, ad Al-Qusayr, ad Aleppo, l’odio brucia ancora. I miliziani irrompono nelle case dei cristiani, distruggono le abitazioni, calpestano le immagini sacre. Profanano croci e icone come se distruggere la fede potesse placare la sete di vendetta. E lo fanno col sorriso. Perché chi uccide da troppo tempo, finisce per amare il sangue.

Ma il mondo tace.

Non ci sono più marce, né appelli, né bandiere arcobaleno. Non ci sono più hashtag, né indignazione. La Siria non interessa più. È troppo lontana, troppo complicata, troppo sporca. Così, mentre la sua gente scompare nell’ombra, noi continuiamo a vivere come se niente fosse.

Eppure, la Siria è ancora lì.
È una madre che piange i suoi figli senza sapere dove siano.
È un bambino che si sveglia urlando nel cuore della notte.
È una città che crolla in silenzio, sotto il peso di una storia che nessuno vuole più raccontare.

Questo non è un articolo.
È un lamento.
È un requiem per un popolo dimenticato.
È la voce di chi non ha più voce.

Perché il vero orrore non è ciò che è accaduto.
È che continui ad accadere… nel silenzio di tutti. 

Tutte l’opinioni versati nel sito correspondono solo a chi la manifesta. Non e necessariamente l’opinione della Direzione

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