Dal Venerdì Santo all’alchimia del cuore: Cristo, ombra e trasformazione nel film di Piccioni

Carlo Di Stanislao

“Finché non renderai l’inconscio conscio, dirigerà la tua vita e tu lo chiamerai destino.”
— Carl Gustav Jung

Il Venerdì Santo è il punto più oscuro del mistero cristologico, non solo nella fede, ma anche nel simbolismo universale della morte e rinascita interiore. È la fase «nigredo» dell’alchimia spirituale, dove tutto crolla affinché qualcosa possa risorgere su nuove fondamenta.

In senso profondo, il Venerdì Santo rappresenta l’accettazione del dolore, dell’ingiustizia e del silenzio di Dio come parte di un mistero più grande. Non è solo la commemorazione di una morte, ma l’inizio di un cammino di trasformazione. Gesù non fugge dalla croce, ma la attraversa: è il momento della discesa agli inferi dell’umano, della solidarietà con ogni sofferenza e perdita, del vuoto che precede la rivelazione. È il giorno in cui la speranza si cela sotto il velo del lutto, e l’amore non ha ancora trovato la sua parola finale. Ogni uomo, prima o poi, vive un proprio Venerdì Santo: un tempo in cui tutto sembra perduto, in cui la fede è spogliata di consolazioni e si presenta come atto nudo di resistenza spirituale.

In questa lente, sorprende e commuove come L’Ombra del giorno, film di Giuseppe Piccioni andato in onda ieri in prima serata su Rai 3, abbia saputo anticipare magistralmente proprio questo tema. Il film parla sì di storia e di amore, ma in profondità è un viaggio simbolico nella morte di un’identità, nella possibilità di una trasformazione, in una narrazione dove il male non è mai spettacolarizzato ma insinuante, quotidiano, sottile.

La pellicola, ambientata nell’Italia cupa e opprimente del regime fascista, non è solo una storia d’amore. È un racconto sul peso dell’ombra, sull’attraversamento del dolore e della colpa, e sulla possibilità — cristologica ma non necessariamente cattolica — di redenzione attraverso l’altro. Come in un’opera alchemica, i personaggi si muovono tra materia e spirito, tra oscurità e luce, fino a una possibile “resurrezione” interiore.

L’Ombra come Nigredo: la discesa nel buio

Il protagonista, Luciano, ex militare segnato dalla Grande Guerra, vive un’esistenza apparentemente ordinata ma congelata. Il suo ristorante è una prigione dorata, ordinata come una liturgia civile che nasconde un vuoto spirituale. Tutto è ritualizzato, immobile, come se il tempo si fosse fermato in una sorta di purgatorio terreno. L’Italia fascista fa da sfondo, ma in realtà è specchio della sua interiorità: un mondo dove tutto è inquadrato, represso, controllato. È la fase del nigredo, la morte simbolica, lo stadio in cui l’anima si confronta con la sua ombra.

Luciano è un uomo paralizzato, bloccato nel passato, e la sua lealtà formale al regime è in realtà una forma di difesa dal caos, dalla vulnerabilità, dal sentire. Come il piombo nelle immagini alchemiche, la sua coscienza è pesante, opaca, incapace di elevarsi. Cristologicamente, il Venerdì Santo è proprio questo: non solo la morte fisica di Gesù, ma l’esperienza dell’abbandono, del fallimento umano, della notte dell’anima. Luciano è un Cristo senza coscienza salvifica: ha bisogno di attraversare la sua personale passione per risorgere. E questo attraversamento avverrà solo grazie all’incontro con l’altro, con colei che incarna la ferita del tempo e la possibilità della speranza.

Anna: l’anima, la luce nascosta nella materia

Quando Anna entra nella vita di Luciano, lo fa in silenzio, quasi come un’apparizione. È giovane, fragile, ma anche portatrice di un mistero: è ebrea, dunque segnata, perseguitata, ma anche custode di una verità che il mondo nega. In chiave junghiana, Anna rappresenta l’anima, la parte luminosa e vitale che chiama al cambiamento, ma solo se si è pronti ad accettare la distruzione delle maschere.

Anna non è un semplice personaggio femminile: è archetipo. È la Sophia nascosta, la scintilla divina che sopravvive sotto la cenere dell’oppressione. La sua dolcezza non è debolezza, ma resistenza. Il suo silenzio è densità. È lei a rompere il cerchio della ripetizione, a insinuare il dubbio, a evocare in Luciano il coraggio di ricordare. Come nel processo alchemico, è lei a portare il caos fecondo che costringerà Luciano a scegliere: continuare a servire il sistema dell’ombra, oppure disobbedire, rischiare, trasformarsi.

In termini cristologici, è l’incontro col volto dell’altro — il volto del sofferente, del perseguitato — che diventa rivelazione del divino. Anna è il corpo del Cristo crocifisso nel presente storico, il segno che invita alla compassione attiva. Lei è quella ferita che non può essere ignorata, che chiede una risposta etica, umana e spirituale.

Il sacrificio e la salvezza: la resurrezione silenziosa

Quando Luciano compie la sua scelta finale, è un atto di kenosi, di svuotamento. Rinuncia alla sua sicurezza, alla sua posizione, alla maschera. In questo, si compie la morte dell’uomo vecchio e l’inizio di una trasformazione. Non c’è trionfo, non c’è gloria: come nel Vangelo di Marco, tutto resta sospeso, ma qualcosa si è rotto e qualcosa si è aperto. È la tomba vuota. È la possibilità della resurrezione.

Luciano non salva Anna con eroismo, ma con fedeltà. Non si proclama giusto, ma compie un atto giusto. È l’umiltà dell’azione che redime, non la proclamazione ideologica. Il silenzio finale, la fuga, l’incertezza del futuro, tutto parla il linguaggio del Sabato Santo: quel tempo sospeso tra morte e rinascita, in cui la speranza non è ancora visibile, ma pulsa già sotto la terra.

La resurrezione non è urlata, non è miracolosa. È discreta, quotidiana, nascosta nei piccoli gesti, nella scelta di non voltarsi dall’altra parte. È questo il miracolo più grande del film: suggerire che il divino può manifestarsi proprio laddove l’uomo abbandona se stesso per accogliere l’altro.

Conclusione: un film pasquale senza volerlo

L’Ombra del giorno non è un film religioso, ma profondamente spirituale. Il suo essere andato in onda proprio alla vigilia del Venerdì Santo non è solo coincidenza, ma sincronicità. In un tempo di guerre e confusione, questo film ci ricorda che la redenzione non è un atto di potere, ma un processo lento, doloroso e personale. Proprio come l’alchimia dell’anima, o come il Cristo crocifisso che muore — per amore — prima di poter risorgere.

Questa pellicola parla a chiunque stia attraversando un tempo oscuro, a chi ha perso riferimenti, a chi cerca un senso nel dolore. E lo fa con uno stile narrativo lieve, quasi sommesso, ma potentissimo nel suo richiamo simbolico. In questo senso, L’Ombra del giorno è davvero un film pasquale: perché indica la via della trasformazione interiore, della rinascita possibile, della resurrezione come atto umano prima che divino.

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