Francesco e Francesco: il cammino di due cuori tra le rovine del mondo

Carlo Di Stanislao


«Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.» — San Francesco d’Assisi

Nel cuore silenzioso della valle di Assisi, dove il vento sussurra ancora preghiere e l’eco dei passi di San Francesco non ha mai smesso di risuonare, nasce la domanda: San Francesco riconoscerebbe oggi Papa Francesco? Entrambi portano il nome che ha segnato il cammino di una vita: Francesco, il poverello, il giullare di Dio; Francesco, il Papa venuto «dalla fine del mondo». E se nel nome si cela la missione, il cammino di Papa Bergoglio non è che la continuazione di un sogno iniziato secoli prima nella terra umile di Assisi.

Un nome, una missione.
Quando Jorge Mario Bergoglio scelse il nome di Francesco per sé, non fece un semplice omaggio al santo d’Assisi. Scelse di vivere come Francesco, scegliendo la povertà come cammino, abbracciando la solitudine e il dolore degli ultimi come via per la redenzione. Da gesuita, Bergoglio aveva già conosciuto la lotta spirituale, il discernimento e la disciplina. Ma nella sua scelta di San Francesco come modello, ha sentito il richiamo a un cammino più radicale, uno che non è solo di mente, ma anche di cuore.

Gesuita e francescano: due cammini che si intrecciano.
In San Francesco, la povertà non era solo una scelta di vita, ma una forma di rivoluzione spirituale contro le strutture del potere e della ricchezza. La sua radicalità non riguardava soltanto i poveri, ma la Chiesa stessa, che doveva tornare alle origini, alla verità del Vangelo, all’umiltà del Cristo crocifisso. Allo stesso modo, Papa Francesco, da gesuita, ha preso quella stessa croce e l’ha sollevata tra le rovine di un mondo che si dimentica dei più deboli, dei più indifesi.

Il dialogo tra i due Francesco.
Nel cuore della Chiesa, oggi più che mai, sembra risuonare il grido di San Francesco: «Riforma, ma non con le armi del mondo; riforma con l’amore, con il sacrificio, con la povertà.» E Papa Francesco, abbracciando quella chiamata, ha scelto di camminare tra i poveri, di piegarsi sui piedi dei migranti, di ascoltare le sofferenze di chi è ai margini. La sua è una Chiesa ospedale da campo, che cura con l’olio della misericordia.

Tuttavia, San Francesco, uomo radicale e puro, non avrebbe esitato a ricordare a Papa Bergoglio che la povertà evangelica non è un concetto astratto, ma una ferita da abitare. La vera povertà è quella che non ha paura di perdere tutto, che non si rifugia nelle sicurezze del potere o nella diplomazia. La povertà è una ferita che segna, una roccia che frantuma ogni forma di egoismo e di ego.

Eppure, tra le rovine e i sogni, tra le stelle e la polvere, la voce di Francesco continua a guidare.
San Francesco, che parlava agli uccelli e ai lupi, capirebbe benissimo la profonda solitudine di Papa Francesco, che non ha paura di essere l’ultimo, di abbracciare i disprezzati, di affrontare il potere con la semplicità del cuore. Il Santo d’Assisi vedrebbe nei gesti di Bergoglio una continuità radicale del suo sogno: che il Vangelo sia l’unico tesoro da difendere, che la vera ricchezza è quella che non si vede, che il cuore è la sola moneta che conta.

E in un sussurro, forse, San Francesco, il piccolo uomo che camminava senza paura, dirà al Papa di oggi:
«Fratello, non ti fermare. Il Vangelo è la fiamma che brucia e chi la porta non può mai fermarsi. Non temere la solitudine del cuore, non temere di essere scandaloso, perché la Croce è il solo scudo che ci salva.»

Così, tra le rovine di un mondo che ha dimenticato il suo destino celeste, i due Francesco si abbracciano nel vento invisibile della fede. Due uomini, diversi nel tempo e nella forma, ma uniti dalla stessa passione: vivere il Vangelo senza compromessi, nella povertà radicale del cuore.

Poesia: “Francesco e Francesco”

(Scritt da Italo Nostromo)


Nel cuore di un mondo che grida al vento,
sento il passo di chi è venuto dal nulla,
Francesco, povero, nudo sotto il cielo,
e Francesco, Papa, con il volto solcato dal dolore.

Là, dove il sole si fa tramonto,
dove le stelle sono più vicine del cuore,
due anime si sfiorano nell’eco di un sogno:
«Siate ciò che non temete,
Amate senza limiti,
Perché il Regno non è nelle mani del potente,
Ma nei passi di chi cammina scalzo»
.

San Francesco, nelle rovine del mondo,
chiede silenzio al rumore della terra,
e Papa Francesco, tra le macerie del cuore,
insegna a non temere la polvere,
a raccogliere il volto di chi soffre
come fosse il volto di Dio.

“Fratello, non ti guardare indietro,
Non temere la solitudine della verità,
Perché il Vangelo è una fiamma che brucia
e chi la porta non può mai fermarsi.”

Il vento porta la voce di un santo e di un Papa,
e l’uomo cammina, inciampa, si rialza,
nel silenzio di chi non ha paura di essere ultimo,
nel respiro di chi sa che il cielo è più vicino
quando ci si inginocchia tra le stelle più lontane.

Francesco, il povero, siede tra i lupi,
e Francesco, il Papa, bacia i piedi degli scarti.
In questa danza invisibile,
tra il cuore e la polvere,
il Vangelo non è mai troppo lontano.
È il passo che si fa leggera strada.

E il mondo, stanco di parole,
ascolta un grido che non è mai stato detto,
un segreto che si svela in un abbraccio di pace,
un silenzio che diventa la lingua di Dio.
Così camminano, a testa alta,
due Francesco, uno nell’altro,
e in ogni loro passo risuona la voce di un cuore:
«Amate. Amate sempre. Anche quando la strada non è che rovi.»


In questo incontro tra il Francesco di ieri e quello di oggi, il cammino di fede, di povertà e di radicalità evangelica continua. Il Vangelo, come una fiamma, brucia nel cuore di chi ha scelto di non temere il sacrificio. È un cammino che non ha paura di perdere, ma che sa che il Regno di Dio si costruisce solo con le mani sporche di polvere e con il cuore nudo di amore.

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